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Come i giallo-rossi discutono del Recovery Fund
I grillini contestano i 500 miliardi per la ripresa proposti da Parigi e Berlino per avviare il Recovery Fund. I Graffi di Damato
I nodi in politica sono come le ciliegie: una tira l’altra, dice un vecchio proverbio. Non si è ancora sciolto nella maggioranza giallorossa di governo il nodo, appunto, del guardasigilli grillino Alfonso Bonafede, su cui il Senato voterà domani la sfiducia proposta dalle opposizioni di centrodestra e da un’Emma Bonino avvolta nella significativa memoria di Enzo Tortora, sinonimo del garantismo in Italia per la sua drammatica vicenda umana e giudiziaria, e un altro non meno insidioso sopraggiunge o si aggroviglia ulteriormente sul versante europeo.
L’ANNUNCIO DELL’ACCORDO FRANCO-TEDESCO PER IL RECOVERY FUND
L’annuncio dell’accordo franco-tedesco su un fondo comunitario di 500 miliardi di euro per la ripresa in tempi di coronavirus, da cui l’Italia potrebbe attingerne 100, è stato salutato a Roma come “un buon punto di partenza” dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte in persona, senza consultare evidentemente la componente grillina numericamente e politicamente ancora decisiva della maggioranza. Di cui invece si è fatto prontamente portavoce, o ispiratore, come si preferisce, il solito Fatto Quotidiano, il più vicino di tutti alle 5 Stelle. Che ha lamentato o denunciato, sempre come si preferisce, il “dimezzamento” del fondo rispetto alle previsioni o ai desideri avvertendo che “all’Italia (e all’Europa) serve ben altro, e di più”. Altro, quindi, che l’”aiuto per l’Italia” sventolato in prima pagina da Repubblica, o la “scommessa” salutata dalla Stampa, entrambe adesso di proprietà di John Elkann, o lo “scongelamento” della Merkel “per Conte” in persona visto a Bari dalla Gazzetta del Mezzogiorno.
Neppure a fondo perduto, come sono stati messi sul tappeto delle trattative, i 500 miliardi proposti dalla Francia e dalla Germania, che hanno così ritrovato il vecchio asse trainante dell’Unione Europea, hanno ammorbidito sospetti, pregiudizi e quant’altro che ancora accomunano, anche dopo la rottura dell’alleanza gialloverde stretta dopo le elezioni del 2018, buona parte dei grillini ai leghisti di Matteo Salvini, e ai fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
I GRILLINI APRIRANNO AL MES?
Vi chiederete a questo punto se la riduzione della torta del fondo europeo per la ripresa o ricostruzione, salvo aumenti successivi, non avrà indotto o indurrà i grillini nella maggioranza ad aprirsi ai 36 miliardi di prestito a tasso vicino allo 0 destinati al sistema sanitario italiano e disponibili col famoso Mes, acronimo del meccanismo europeo di stabilità. Manco per sogno. Rimane il no già annunciato dal reggente del movimento grillino, Vito Crimi, dopo il recente e ribadito affidamento del pur titubante Conte alle decisioni che prenderà il Parlamento quando sarà investito della questione. Il problema — ha avvertito Crimi — è estraneo al “patto di maggioranza”, per quanto il Pd di Nicola Zingaretti e il partitino di Matteo Renzi muoiano dalla voglia di attingere a quei soldi condizionati solo alla loro destinazione, diversamente da tutti gli altri interventi effettuati sotto quell’egida in passato.
A smuovere o far tirare un sospiro di sollievo ai grillini non è riuscita neppure la presidente francese della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, proponendo una riforma di quello scorsoio e persino “stupido” patto di stabilità, come lo definì Romano Prodi, prima che torni in vigore dopo la sospensione decisa dalla Commissione di Bruxelles al sopraggiungere della crisi da emergenza virale.