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Come regolamentare l’attività di lobbying? Ecco che cosa ne pensano gli esperti

Lobby

Sta per entrare nel vivo alla Camera l’esame del ddl Lobby presentato dal  Movimento Cinque Stelle e abbinato alle proposte di Italia Viva e del Partito Democratico.

A breve inizieranno le audizioni in commissione Affari costituzionali alla Camera sul ddl Lobby, la proposta di legge a prima firma di Francesco Silvestri (M5S), che è abbinata a quelle di Silvia Fregolent (Iv) e di Marianna Madia (Pd). Un tema, quello di disciplinare i rapporti tra portatori di interessi e decisori pubblici, che riscuote sempre maggiore interesse: basti pensare che, nel corso dell’attuale legislatura, sono state presentate 9 pdl a riguardo. Ma ad oggi si contano in totale oltre 65 tentativi di legiferare in materia, a partire dal 1979 perché una delle questioni cruciali dell’attività lobbistica è l’assenza di normative di settore che consentano maggiore chiarezza su chi vi opera e con quali mezzi e obiettivi. Per questo nell’opinione pubblica spesso non c’è un’idea chiara — o in alcuni casi positiva — dei lobbisti che appaiono protagonisti di un fenomeno che si è sviluppato in modo per lo più informale.

Tutte e tre le proposte di legge all’esame della commissione di Montecitorio prevedono l’obbligo di iscrizione a un Registro ad accesso pubblico, il rispetto di un codice deontologico e la redazione di un’agenda dei propri incontri, l’istituzione di  un Comitato per la Trasparenza.

Ma cosa ne pensano gli stessi portatori di interessi? Come si può intervenire per disciplinare quest’attività rendendola più trasparente e al tempo stesso più fruibile da parte degli attori in campo?

VELARDI: NO AD UN ALBO MA RENDERE TRASPARENTE L’INTERO PROCESSO DECISIONALE DA PARTE DEI PUBBLICI POTERI

In un intervento dal titolo “Lobbismo oggi” sul suo blog Buchi neri Claudio Velardi, giornalista, saggista e docente di Lobbying e Comunicazione politica alla Luiss, confessa di non essere “per nulla interessato all’eterno dibattito su come disciplinare le attività di lobbying. In Italia, di solito, gli interventi del legislatore rendono difficili le cose semplici. Figuriamoci quando si tratta di agire in un campo delicato e ‘di confine’ come il nostro, già  segnato da un basso tasso di popolarità mediatica, negli ultimi tempi a rischio per la norma assurda, caotica e ambigua sul ‘traffico di influenze illecite’”. Secondo Velardi “i pubblici poteri dovrebbero fare una sola e semplicissima cosa: mettere in trasparenza l’intero processo decisionale, istituire registri per censire i rapporti tra decisori e rappresentanti di interesse in ogni sede istituzionale, impegnare la Pubblica Amministrazione a tutti i livelli – con analoga trasparenza – a fornire risposte rapide e precise sui temi posti.  E sempre sapendo che le relazioni con le istituzioni sono solo una parte, e non preponderante, delle attività di lobbying”.

L’ex editore del quotidiano Il Riformista è pure contrario a stabilire un albo su chi è lobbista e chi non lo è. “Qualunque forma di corporazione mi fa venire l’orticaria – sottolinea -. Un lobbista è bravo e capace se porta risultati per l’interesse che rappresenta. Come lo faccia, dipende dalla capacità strategica, dalla visione, dalla qualità del lavoro, dalla preparazione specifica che è in grado di mettere in campo”. Di sicuro allo stato attuale “c’è una gigantesca crisi del rapporto tra interessi e politica, figlia dell’esaurimento dei vecchi meccanismi di rappresentanza. C’è un problema di percorsi del dibattito pubblico sulle grandi scelte strategiche di un paese, c’è un problema di rapporti tra l’industria e i territori, c’è un problema di finanziamento della politica” e se in questo i lobbisti italiani “riusciranno a dare una mano a sciogliere in positivo questi grandi nodi, miglioreranno fatturati, reputazione e daranno una mano a far funzionare meglio il sistema democratico”.

COMIN (COMIN&PARTNERS): COLMARE VUOTO LEGISLATIVO MA LOBBISTI E ISTITUZIONI MIGLIORINO LA COMUNICAZIONE

Di diverso avviso Gianluca Comin, presidente e fondatore del gruppo Comin&Partners, secondo cui “sono i cittadini, insieme ai professionisti del settore, a pagare l’incapacità di colmare questo vuoto legislativo, rendendo la partecipazione alla vita pubblica sempre più controversa. Alla luce di ciò, è necessario che anche i lobbisti e le istituzioni pubbliche e private si impegnino a migliorare le proprie azioni e i propri mezzi di comunicazione per interpretare e rispondere alle esigenze del nuovo contesto nel migliore dei modi”. In un articolo su Lettera 43 Comin, che è anche professore di Strategie di Comunicazione alla Luiss, ricorda – come ha fatto pure nel suo libro “Comunicazione integrata e reputation management” – che “l’Italia risulta essere il fanalino di coda dell’Europa in termine di trasparenza delle istituzioni, di qualità della legislazione, di partecipazione ai processi decisionali e di lotta alla corruzione. Sin dal 2014 – aggiunge -, l’analisi condotta da Transparency International-Italia nello studio “Lobbying e democrazia. La rappresentanza degli interessi in Italia” conferisce al nostro Paese un avvilente punteggio di 20 su 100”. L’invito ai lobbisti e agli esperti “pronti ad accogliere una precisa regolamentazione” è quello di “essere anche disposti a impostare strategie di comunicazione multidirezionali, efficaci ed innovative per garantire un flusso trasparente della comunicazione tra cittadini e istituzioni”.

GALLOTTO (RETI): FAVOREVOLE AD APPROCCIO VOLONTARIO

Sul tema della regolamentazione è intervenuta pure Giusi Gallotto, ceo di Reti – Public Affairs, Lobbying & Communication, durante il convegno “Lobbying in tempi difficili” che si è svolto il 10 gennaio scorso all’università Roma Tre. “Sono favorevole ad un approccio volontario: il rappresentante deve essere incentivato a iscriversi al registro dei lobbisti – premialità più che sanzioni” ha detto come riferito da un tweet di @GalassiaReti

IANNAMORELLI: SE LA REGISTRAZIONE NON OFFRE VANTAGGI SI CERCHERA’ DI EVITARLA

Sulla stessa lunghezza d’onda Antonio Iannamorelli, direttore operativo di Reti – Public Affairs, Lobbying & Communication. “Se la registrazione non offre alcun vantaggio, ci sarà la corsa delle agenzie e dei lobbisti ad evitarla o ad aggirarla. Come oggi avviene con quella del registro della Camera dei Deputati. Con l’applicazione restrittiva della nuova presidenza, infatti, il ‘tesserino arancione’ non fornisce più alcun ‘plus’: non consente l’accesso alla Galleria dei Presidenti né in altri luoghi della Camera dei Deputati, salvo l’archivio, mentre la cosiddetta ‘stanza dei lobbisti’ viene allestita esclusivamente per la Legge di Bilancio”. Secondo Iannamorelli, poi, si pone un’altra questione: siccome “la non registrazione non implica di non poter svolgere attività di lobbying diretta (per incontrare un parlamentare l’iter dei registrati è identico a quello dei non registrati), il meccanismo instaurato disincentiva la trasparenza”. Dunque, “se fosse garantito l’ingresso, l’accesso al circuito chiuso, la consegna in tempo reale dei documenti di seduta, una ‘priorità’ nelle consultazioni pubbliche, nelle audizioni, nelle attività di indagine conoscitiva, solo e soltanto a chi si conformasse ad uno standard, questo incentiverebbe l’autodichiarazione dell’attività e – conseguentemente – la trasparenza, facendo un po’ d’ordine anche nei confronti dell’opinione pubblica”.

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