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Come saranno i rapporti fra M5s e Pd?

Sottosegretari CONTE 2

I Graffi di Damato sulle relazioni che andranno a instaurarsi nella maggioranza M5S-Pd del Governo Conte bis

Con l’arrivo alla Farnesina di Luigi Di Maio, e degli interpreti che dovranno assisterlo con particolare cura, la diplomazia italiana è in mutande di ghisa, come quelle che Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano ha messo addosso al Movimento delle 5 Stelle, nella nona delle dieci ragioni da lui elencate a favore della nascita del nuovo governo di Giuseppe Conte. “Dopo la cura Salvini — ha scritto testualmente Travaglio — il M5S ha comprato mutande di ghisa per non farsi fregare” pure dal Pd, specie considerando il ruolo decisivo che ha svolto al suo interno Matteo Renzi –“l’ebetino” o “lo sciacallo”, secondo Beppe Grillo — per compiere l’operazione scritta “nel destino” dello stesso comico genovese. Che tentò una decina d’anni fa di iscriversi al Pd bussando alla porta della sezione di Arzachena ma venendo respinto da Roma. Allora Grillo voleva fare l’infiltrato nel Pd per rovescialo come un calzino. Adesso è il Pd, secondo i timori di Travaglio, che potrebbe infiltrarsi nel Movimento pentastellato e fargli perdere i voti rimastigli dopo il salasso procuratogli da Salvini nelle elezioni europee del 26 maggio scorso.

IL COMPITO DEI MINISTRI GRILLINI

La prudenza, la diffidenza e quant’altro del direttore del Fatto Quotidiano — che cito con una certa frequenza non per ossessione ma per il riconoscimento dovutogli che dei grillini, dei loro umori, delle loro debolezze, delle loro ambizioni è il più informato di tutti i giornali italiani, ed è, credo, il più seguito sotto le cinque stelle — sono tali che egli ha allestito una squadra di ministri “ombra” per fare le pulci a quelli veri, appena nominati dal capo dello Stato. “Il meno peggio — ha scritto Travaglio dopo la liquidazione delle bestie leghiste, chiamiamole così — non basta: alla lunga, apre (o riapre) la strada del peggio”. E ciò sino a quando, evidentemente, gli italiani non si decideranno a dare la maggioranza assoluta ai grillini, nel frattempo educatisi a dovere alla scuola del Fatto Quotidiano, e non si lasceranno guidare dal governo Conte 3, tutto pentastellato, dal primo all’ultimo ministro e sottosegretario.

I CONSENSI DEL GOVERNO CONTE BIS

Nel frattempo Travaglio dovrà sopportare che i giornali chiamino riduttivamente “bis” il suo “Conte 2”, come hanno fatto con un misto di impertinenza, ignoranza e provocazione quotidiani come la Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa, Il Messaggero, il Secolo XIX e altri. Al Corriere, poi, si sono anche permessi di lasciare scrivere ad Antonio Polito, nell’editoriale di prima pagina,  che il nuovo governo Conte potrà anche avere “più coesione politica”, rispetto a quello con i leghisti a contratto, ma “meno consenso popolare”, perché “le forze che lo compongono non sono oggi maggioranza nel Paese”, per quanto ne dispongano nelle Camere appositamente congelate col rifiuto delle elezioni anticipate. Che furono reclamate il mese scorso da Salvini per “capitalizzare”, come Conte gli sentì dire riferendone subito in pubblico con aria indignata, il raddoppio dei voti conseguito nelle già ricordate elezioni europee di fine maggio.

LE DIFFICOLTÀ DELLA DIPLOMAZIA ITALIANA

Per tornare a Di Maio – approdato agli Esteri dopo avere inutilmente tentato la scalata al Viminale, e piazzando il suo fedelissimo Riccardo Fraccaro nella postazione chiave a Palazzo Chigi di primo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, per non parlare delle persone di fiducia collocate nei suoi ex uffici di ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro – le difficoltà in cui deve sentirsi la diplomazia italiana sotto la sua guida non derivano dai problemi di lingua e di conoscenza geografica rinfacciatigli, a torto o a ragione, dal Giornale della famiglia Berlusconi. Derivano piuttosto dai suoi ripetuti e sfortunati, a dir poco, sconfinamenti precedenti nella politica estera italiana procurandosi la diffidenza, se non l’ostilità, di tante Cancellerie con le quali egli ora deve interloquire direttamente. Non a caso un giornale molto informato e sensibile a questi problemi come La Stampa si è subito fatta portavoce dei “timori degli alleati”.

Vi lascio immaginare, e immagino io stesso, nonostante o anche a causa, come preferite, dell’immediata soddisfazione espressa dal Dipartimento di Stato americano per la nascita del nuovo governo italiano, dopo la sponsorizzazione personale di Conte fatta dal presidente Donald Trump, la reazione alla nomina di Di Maio a ministro degli Esteri nelle stanze dell’Eliseo. Dove il presidente francese in persona Emmanuel Macron ricorda ancora con tanto fastidio le incursioni fisiche e politiche di Di Maio fra i “gilet gialli” in rivolta a Parigi da essersi avventurato qualche giorno a compiacersi dell’impressione che Di Maio fosse la maggiore vittima – altro che Salvini – della crisi di governo scoppiata in Italia. Non sapeva, il povero Macron, di quante risorse, diciamo così, fosse capace la politica nei palazzi romani.

 

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