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Come si divide M5S su Ursula e non solo

Ursula

I Graffi di Damato sui pentastellati che non solo hanno perso la loro centralità ma si sono spaccati e dispersi nella votazione alla commissione Ue presieduta da Ursula von der Leyen

D’accordo, maiora premunt, come dicevano i latini. In Italia il Movimento delle 5 Stelle è alle prese con tanti altri problemi, interni ed esterni ai suoi gruppi parlamentari, fra ponti che crollano, vecchi e nuovi avversari da colpire cavalcando disgrazie e inchieste giudiziarie, l’”elevato”, garante e quant’altro che cerca di mettere in riga il capo ancòra coi gradi addosso, Luigi Di Maio, che però continua a fare come gli pare e piace.

La stessa portavoce ed esponente della delegazione grillina all’Europarlamento Tiziana Beghin ha ammesso o precisato, come preferite, che “non abbiamo dato grande importanza all’episodio”, ma ha o dovrebbe avere pure la sua importanza il fatto che in poco più di quattro mesi, fra il 16 luglio e il 27 novembre, i pentastellati hanno perduto la cosiddetta centralità che si erano vantati di avere conquistato nel Parlamento di Strasburgo, nonostante vi fossero tornati rimediando una scoppola astronomica nelle elezioni di fine maggio. Essi erano infatti precipitati al 17 per cento dei voti dal 32 per cento conquistato nelle elezioni politiche dell’anno prima.

La “centralità”, con grande scorno per gli allora alleati leghisti di governo, schieratisi all’opposizione a Strasburgo e messisi in fila, diciamo così, per finire all’opposizione anche in Italia, era stata conquistata dai grillini facendo confluire i loro 14 voti sulla tedesca Ursula von der Leyen, designata alla presidenza della nuova Commissione Europea dai vertici politici dell’Unione. I nove voti di scarto con i quali la ministra tedesca della Difesa, e collega di partito della cancelliera Angela Merkel, aveva ottenuto la maggioranza a scrutinio segreto, con evidenti dissensi socialisti e d’altro colore, avevano reso determinanti i 14 sì dei quali si erano compiaciuti i grillini.

LA VOTAZIONE ALLA COMMISSIONE PRESIEDUTA DA URSULA VON DER LEYEN

Ebbene, dopo soli quattro mesi, nella votazione — questa volta palese — sulla Commissione nel frattempo composta dalla presidente tedesca, in cui il governo italiano a conduzione grillina è rappresentato da un commissario non certo di second’ordine come quello degli affari economici, nella persona dell’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, i pentastellati non solo hanno perso la loro centralità ma si sono spaccati e dispersi. Dei loro quattordici eurodeputati, dieci hanno votato sì, due no e altri due si sono astenuti. La irrilevanza dei dieci favorevoli è provata dalla differenza fra i 481 sì rimediati dalla nuova Commissione contro i 159 no e le 89 astensioni.

I grillini hanno rimediato questa debacle politica nonostante nel frattempo, da luglio a novembre, siano riusciti in Italia a conquistare con Di Maio addirittura il Ministero degli Esteri, e la loro nuova maggioranza di governo a Roma, comprensiva della sinistra al posto dei leghisti,  sia stata ottimisticamente e trionfalmente battezzata “Orsola”, dalla tedesca Ursula, in una intervista di Romano Prodi, già presidente del Consiglio italiano e presidente della Commissione Europea. Il cui compiacimento per i nuovi alleati scelti dai grillini a Roma lo ha rimesso in corsa, stando almeno ai retroscena giornalistici, per il Quirinale alla scadenza del mandato di Sergio Mattarella, nel 2022. Sembra che proprio o anche per salvaguardare questa candidatura, in qualche modo riparatrice del traguardo mancato dal professore emiliano nel 2013, si sia saldata l’attuale maggioranza giallorossa consentendo al capo dello Stato di respingere la richiesta di elezioni anticipate avanzata da Matteo Salvini e dai suoi ritrovati alleati di centrodestra nella crisi di agosto.

LE PRIORITÀ PENTASTELLATE

Maiora premunt, dicevo. Infatti la notizia della fiducia dell’Europarlamento alla Commissione Ursula, chiamiamola così, neppure si trova nel blog delle 5 stelle. Dove invece — nell’ordine delle priorità di casa — sono elencati la polemica di Luigi Di Maio contro i Benetton, naturalmente assimilati ai Gavio, per i crolli autostradali a Genova e Savona, un’intervista al sociologo Massimo De Felice sulla cittadinanza digitale, un ritorno dell’ex ministro delle Infrastrutture Toninelli sul crollo del Ponte Morandi dell’anno scorso, una polemicuzza contro il governatore ligure Giovanni Toti per i viadotti crollati nella sua regione e la difesa che farebbe dei responsabili, infine la richiesta di una commissione d’inchiesta parlamentare sul finanziamento dei partiti dopo le retate, e simili, dell’inchiesta giudiziaria sulle sovvenzioni dirette e indirette a Matteo Renzi quando ancora faceva parte del Pd, ne scalava la segreteria e cercava di conservarla, o riconquistarla, secondo i punti di vista.

Irrilevanti, nelle priorità sotto le cinque stelle, sono risultati anche i tumulti alla Camera sulla difesa del costituendo fondo europeo salva-Stati fatta dal nuovo ministro dell’Economia, e non condivisa da una ritrovata convergenza fra i leghisti e almeno una parte dei grillini.

 

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