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Cosa succede tra Conte, Draghi e Cartabia dopo il patto della spigola

Conte Draghi

I Graffi di Francesco Damato

La Stampa attribuisce in prima pagina a Giuseppe Conte queste parole che intende dire a Mario Draghi a Palazzo Chigi, e avrebbe anticipato a “collaboratori, ministri e parlamentari” pentastellati incontrati o sentiti prima e dopo l’incontro conviviale con Beppe Grillo in un ristorante di Marina di Bibbiano: “Non si può chiedere ogni volta al movimento 5 stelle di suicidarsi, di votare in maniera quasi sistematica lo smantellamento delle sue stesse riforme”.

L’ultimo “suicidio” che Draghi avrebbe chiesto al MoVimento di cui Conte è tornato a sperare di potere finalmente diventare presidente col “patto della spigola” o “del vermentino” strappato a Grillo pagando il conto del pranzo in Toscana, è quello sulla prescrizione predisposta sotto forma di “improcedibilità” dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia. E votata in Consiglio dei Ministri dai pentastellati dopo una telefonata non smentita di Draghi in persona a Grillo e telefonate di Grillo, neppure esse smentite, ai rappresentanti delle 5 Stelle al governo troppo tentati dall’astensione critica.

Della prescrizione Cartabia, chiamiamola così, progettata dal governo come modifica al disegno di legge di riforma del processo penale all’esame della Camera, il cui approdo in aula è stato annunciato per il 23 luglio con tanto di decisione presa dalla conferenza dei capigruppo, ogni giorno Il Fatto Quotidiano descrive, annuncia, stigmatizza, come preferite, gli effetti perversi addirittura applicandoli a vicende giudiziarie già concluse con condanne definitive. Oggi il turno è toccato ai condannati per il G8 di venti anni fa a Genova, che sarebbero rimasti “tutti impuniti” con i tempi proposti dalla Cartabia per la decadenza dei processi oltre il primo grado di giudizio: tempi che sono dai due ai tre anni per l’appello, secondo la gravità dei reati, e dai dodici ai diciotto mesi per il passaggio attraverso la Cassazione.

Nella curiosa inversione di ruoli verificatasi almeno nell’immaginario collettivo, con Grillo in veste di moderato e governativo e Conte in veste di oltranzista, l’ex presidente del Consiglio o coltiva davvero il disegno attribuitogli ma da lui smentito di provocare una crisi nel cosiddetto semestre bianco che comincerà nei primi giorni di agosto, quando il presidente della Repubblica in caso di crisi non potrà usare il potere di sciogliere le Camere essendo al termine del suo mandato, o pensa di trovare qualche sponda nel Pd. Dove però le cose sono un po’ cambiate, diciamo così, dai giorni in cui l’allora segretario Nicola Zingaretti si lasciava attribuire durante la crisi del secondo governo del professore e avvocato pugliese lo slogan “Conte o morte”. Egli non prevedeva evidentemente il ricorso del Capo dello Stato a Mario Draghi per la formazione di un nuovo esecutivo.

Persino Goffredo Bettini, che gli era diventato nel Pd il consigliere e l’amico più generoso, lasciandosi intervistare ogni giorno per sottolinearne le qualità e sostenerne la conferma a Palazzo Chigi, ha cambiato musica. Adesso anche lui, dissentendo esplicitamente dalle posizioni assunte proprio sui temi della giustizia, si mostra preoccupato della piega presa dagli sviluppi della situazione all’interno del MoVimento 5 Stelle se di recente sul Foglio ha espresso l’auspicio che lo stesso Conte non si riduca “paradossalmente a una enclave minoritaria”. D’altronde, al manifesto, dove non mancano buoni informatori, non risulta che a Bibbiano, nell’incontro comicizzato da Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera, Conte abbia ricevuto un mandato a rompere con Draghi.

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