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Gli effetti del voto per von der Leyen sul governo gialloverde

Governo Gialloverde

I graffi di Damato sul governo gialloverde che si spacca anche sulla nuova presidenza della Commissione Europea

In quell’Asilo Mariuccia che sembra diventato -ripeto- il governo gialloverde italiano l’orario è continuato. Si insegna, si gioca e si fanno dispetti h24, come purtroppo si preferisce ormai dire e scrivere per non parlare con la chiarezza italiana delle ore 24 ininterrotte.

La Stampa ha titolato in prima pagina sull’”ira di Conte”, che ha vissuto come un “tradimento” il no imposto dal vice presidente del Consiglio Salvini ai 28 deputati leghisti del Parlamento Europeo alla nomina della ormai ex ministra tedesca della Difesa Ursula Von der Leyen alla prima presidenza femminile della Commissione nella storia dell’Unione Europea. La signora è stata invece  eletta con novi voti più del necessario, compresi quindi, fra gli italiani, i 14 grillini, per nulla imbarazzati, o non più imbarazzati di quanto non lo siano generalmente nelle loro condotte interne e internazionali, di seguire le pubbliche raccomandazioni di Conte anche a costo di trovarsi per una volta insieme con Forza Italia a destra e col Partito Democratico a sinistra. Dove invece Salvini, incollato al no appena rinfacciatogli perfidamente da Matteo Renzi con una foto nella sempre attuale Piazza Rossa di Mosca contro la sua riforma costituzionale, nel 2016, vede solo mostri, pronti a divorarlo vivo, magari per togliersi poi il gusto di vomitarlo, come usa dire dei giornalisti Beppe Grillo.

CONTE TRADITO A STRASBURGO DAI LEGHISTI

Il Conte “tradito” a Strasburgo dai leghisti  equivale naturalmente al Salvini dichiaratosi il giorno prima “pugnalato alla schiena” dal presidente del Consiglio per avere documentato il ruolo svolto da un collaboratore a contratto, diciamo così, dello stesso Salvini per consentire al quasi omonimo Savoini di non perdersi la cena di gala con col presidente russo Vladimir Putin la sera del 4 luglio a Villa Madama.

Il Salvini pugnalato alla schiena per l’affare Savoini, e annesse grane politiche e giudiziarie per un sia pur fallito tentativo di fare avere alla Lega 65 milioni di dollari per la campagna elettorale europea, regionale e amministrativa della scorsa primavera, equivale a sua volta al doppio “sgarbo”, istituzionale e politico, contestato da Conte a Salvini per l’incontro al Viminale con le cosiddette parti sociali sul bilancio e legge finanziaria del 2020, tenendosi ben stretto, alla sua sinistra, come amico ed esperto della tassa piatta, quell’Armando Siri così faticosamente allontanato dal governo nei mesi scorsi, per impuntatura personale del presidente del Consiglio, a causa delle indagini per corruzione aperte a suo carico dalla Procura di Roma.

DA BURATTINO A BURATTINAIO?

Fra le pieghe di questi dispetti da Asilo Mariuccia, e di altro ancora, un professionista di lunghissimo corso, che possiamo ben considerare il decano del giornalismo italiano, naturalmente Eugenio Scalfari, senza scomodare questa volta le buonanime di Platone, Aristotele, Socrate, Tucidide, Omero e quant’altri, e tanto meno il vivente Papa Francesco, ha intravisto, rivelato e cercato di analizzare la trasformazione in corso di Conte. Che da “pupazzo -ha scritto testualmente- manovrato” dai due vice presidenti impostigli l’anno scorso dalle circostanze politiche sta diventando, o è già diventato, il loro astuto “burattinaio”, mettendoli l’uno contro l’altro con l’uso sapiente dei fili che muovono i pupi.

LE MIRE DEL NUOVO CONTE

Quale sia l’obiettivo, l’aspirazione, il progetto, il destino, chiamatelo come volete, di questo nuovo Conte, da tutti sottovalutato all’improvviso arrivo sulla scena politica, prima come aspirante ministro della funzione pubblica di un eventuale governo monocolore grillino e poi come capo di un inedito governo bicolore gialloverde, Scalfari non ha voluto tenerselo per sé. E neppure noi, naturalmente, vogliamo tenercelo segreto. L’obiettivo è  lo scaricamento di Salvini e della Lega per la formazione di un governo di transizione, auspicabilmente non elettorale perché ne sarebbe sonoramente sconfitto nelle urne: un governo concordato col Pd ed altri volenterosi. Che sarebbero destinati a crescere  con la riforma costituzionale ormai arrivata all’ultima curva parlamentare, che riducendo il numero sia dei deputati sia dei senatori moltiplicherebbe naturalmente la paura degli uscenti, e il loro conseguente interesse a far durare la legislatura sino al 2023, provvedendo così ad eleggere loro, l’anno prima, il successore di Sergio Mattarella al Quirinale.

Vasto programma, direbbe la buonanima del generale francese Charles De Gaulle. E ripeterebbe forse anche la buonanima di Aldo Moro, cui invece Scalfari ha voluto in qualche modo paragonare Conte, che già di suo -va detto- aveva aspirato ad assomigliargli, arrivando a Palazzo Chigi, per le loro comuni origini pugliesi. Io, peraltro pugliese,  un po’ francamente ne risi, o sorrisi. Ma evidentemente non c’è proprio limite alle sorprese.

 

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