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I tormenti del Pd

Castagnetti E Il Congresso Pd

Il sorpasso mancato di Giuseppe Conte sul pur incidentato Enrico Letta… I Graffi di Damato

Quel rompiscatole del professore Nando Pagnoncelli – come lo considereranno sotto le 5 Stelle- ha interrotto, o quanto meno disturbato, dalle colonne del Corriere della Sera la festa di Giuseppe Conte aperta ieri sul Fatto Quotidiano con l’annuncio del sorpasso sul Pd ancora di Enrico Letta, sia pure del solo 0,3 per cento. E certificato da Alessandra Ghisleri, la sondaggista di fiducia di Silvio Berlusconi, faceva notare il giornale di Travaglio. Che si divertiva anche a proporre allegramente Conte in versione Gassman nel film Il sorpasso del lontano 1962.

L’Ipsos di Pagnoncelli ha appena attribuito invece al Pd il 18,8 per cento, alle 5 Stelle il 16, ai fratelli d’Italia di Giorgia Meloni il 29,8 per cento, quasi il 30, con un sostanzioso salto rispetto al risultato elettorale del 25 settembre ai danni della Lega, scesa all’8 per cento, e di Forza Italia, scesa al 6,1. Sono valutazioni, quest’ultime, concordi con quelle della Ghisleri, che avevano indotto ieri Il Fatto Quotidiano a titolare “Meloni si mangia FI”, in un rigo sotto il sorpasso di Letta da parte di Conte.

Chissà se Pagnoncelli è riuscito a sollevare un pò l’umore del segretario del Pd, uscito malconcio, con critiche di segno opposto, dalle quattro ore di dibattito “psicanalitico” – come lo ha definito sul Foglio Salvatore Merlo– alla direzione del Nazareno, conclusasi con l’avvio del lungo percorso congressuale di “ricostituzione” del partito: lungo perché si concluderà con le primarie il 12 marzo dell’anno prossimo, fra cinque mesi. “Un’enormità” , ha commentato l’ex presidente del Pd Matteo Orfini dopo avere accusato i suoi compagni di sottovalutare ancora il Conte “ipocrita e trasformista” col quale alcuni vorrebbero riprendere al più presto l’alleanza, subendone anche la richiesta di cambiamento del “gruppo dirigente”.

Dello stato di salute, diciamo pure della sorte del Pd -va registrato anche questo- comincia a preoccuparsi persino il Giornale di famiglia di Berlusconi perché -dice oggi nel titolo l’editoriale- “in coma fa male a tutti”, non solo a se stesso. Nostalgia delle passate comuni partecipazioni a maggioranze imposte da particolari difficoltà, come ai tempi di Enrico Letta nel 2013, prima che intervenisse la rottura per l’estromissione di Berlusconi dal Senato a causa della condanna definitiva per frode fiscale, o a quelli di Mario Draghi sino allo scorso mese di luglio? Chissà, può darsi, nonostante il discorso di riconciliazione  con Giorgia Meloni ancora fresco di stampa, diciamo così, pronunciato al Senato dal Cavaliere per la fiducia ad un governo di destra-centro in continuità di spirito, secondo lui, con i suoi di centro-destra succedutisi dal 1994.

Intanto la Meloni, in attesa di chiudere, forse lunedì, anche la partita dei vice ministri e dei sottosegretari, che si sta giocando fra tensioni nella maggioranza neppure tanto nascoste, ha risolto il problema da lei stesso creato con la richiesta di chiamarla al maschile nella denominazione della carica: il presidente del Consiglio. O, addirittura, come da un comunicato di Palazzo Chigi, “il signor presidente del Consiglio”. “Chiamatemi pure Giorgia”, ha familiarmente concluso il presidente del Consiglio, o la presidente del Consiglio, come le ha chiesto di correggersi la ex presidente della Camera Laura Boldrini. Quisquilie, avrebbe forse detto  Totò.

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