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In che modo Giorgia Meloni vuole sminare il referendum sul premierato

Obiettivo della premier Meloni è quello di non polarizzare l’eventuale referendum sul premierato, per evitare di ‘cementare le opposizioni’ e che l’alta affluenza posso dare una connotazione ‘politica’ alla consultazione

Il tema del giorno sui giornali sono tornate a essere le riforme istituzionali alle quali sta lavorando il Governo, con riferimento al premierato. Complici le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni che, con l’avvicinarsi del voto per le Europee, stanno diventando sempre più frequenti. Dall’intervento al Festival dell’economia di Trento sabato, all’intervista a In Mezz’ora di Monica Maggioni su Rai3, fino alla partecipazione al programma su Radio Rai di lunedì mattina condotto da Peter Gomez e Riccardo Foa.

Dalla “madre di tutte le riforme” a “la va o la spacca” fino al “chi se ne importa”, la presidente del Consiglio – senza “avere troppa paura di contraddirsi” come ha scritto Monica Guerzoni sul Corriere della Sera – ha offerto nelle ultime ore tanto materiale da scrivere a cronisti politici e retroscenisti.

LA STRATEGIA DI GIORGIA MELONI SUL PREMIERATO: EVITARE DI CEMENTARE LE OPPOSIZIONI

“La strategia – come riportato sul Corriere – è non trasformare la sfida del premierato in una battaglia campale, che avrebbe tra gli effetti perversi anche quello di cementare le opposizioni. I rischi sono tanti e, per disinnescarli, a Palazzo Chigi hanno cominciato a ragionare su comunicazione e tempistica: accorpare il referendum alle Politiche, farlo slittare oltre il voto del 2027 o accelerare, perché il responso degli italiani arrivi prima delle elezioni? La decisione non è stata presa. Prima Meloni deve vincere le Europee e le mosse concitate degli ultimi giorni rivelano un mix di fiducia e paura”.

Obiettivo della premier, quindi, è quello di evitare una polarizzazione che potrebbe ripercuotersi contro, proprio come avvenne ai tempi della riforma costituzionale targata Renzi-Boschi che portò alle dimissioni da presidente del Consiglio dell’allora leader del Pd. Una polarizzazione che potrebbe, come scritto dalla giornalista Guerzoni, “cementare le opposizioni” e, inoltre – aggiungiamo – galvanizzare l’elettorato e indurlo a recarsi alle urne in caso di referendum.

COSA RISCHIEREBBE LA PREMIER IN CASO DI ALTA AFFLUENZA AL REFERENDUM

Ed è questo, forse, il secondo elemento che sta spingendo Meloni e Fratelli d’Italia a depotenziare lo strumento del probabile referendum (qualora non si dovesse trovare una convergenza con le opposizioni in Parlamento, le quali difficilmente faranno questo favore alla premier). Evitare quindi un’affluenza alta che potrebbe dare una connotazione politica, come avvenne nel 2016, dalla quale la Presidente del Consiglio rischierebbe di rimanere comunque schiacciata qualora la riforma del premierato targata centrodestra dovesse essere bocciata dagli elettori. A maggior ragione se si tiene in ulteriore considerazione che ai referendum le indicazioni di scelta sono due, e quindi anche coloro che alle Politiche non farebbero mai un accordo insieme (come Conte e Renzi ad esempio) magari si potrebbero ritrovare a sostenere la stessa posizione in un referendum.

Chiaramente si va avanti per scenari ipotetici che riguardano i prossimi anni e che, inevitabilmente, saranno poi condizionati dalle ulteriori variabili politiche che emergeranno nel frattempo.

I DATI DELLE AFFLUENZE SULLE ULTIME ELEZIONI E SUI REFERENDUM

E’ utile comunque andare a dare un’occhiata alle affluenze del referendum del 2016 e delle ultime politiche, per vedere come il tema della partecipazione degli elettori è tutt’altro che secondario. Il 4 dicembre 2016 la consultazione referendaria sulla riforma costituzionale, proposta da Matteo Renzi, vide un’alta affluenza alle urne, pari al 65,47% degli elettori, e una netta affermazione dei voti contrari, pari al 59,12% dei voti validi. Una percentuale molto alta, a dimostrazione che si trattò di un voto ‘politico’ da parte dei cittadini che si presentarono alle urne.

Basti pensare che l’affluenza in Italia alle elezioni Politiche di appena 15 mesi dopo, nel marzo del 2018, si attestò al 72,94% per la Camera dei deputati e al 73,01% per il Senato, in calo di circa il 2,3% rispetto alle elezioni precedenti del 2013. Nel 2022 invece, alle ultime Politiche, l’affluenza in Italia si è attestata appena sotto al 64%, peggiorando così di 9 punti il record negativo nella serie storica della partecipazione al voto per le elezioni politiche nella storia repubblicana.

Questi dati per capire che appunto l’obiettivo di non polarizzare lo scontro sul premierato (e in prospettiva sul referendum) potrebbe nascondere lo scopo inconfessabile di abbassare l’asticella dell’affluenza per non connotare politicamente la consultazione referendaria.

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