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La lotta continua nel governo

I Graffi di Damato sul ritorno di Lotta Continua, stavolta persino al governo

Fondata con l’omonima testata giornalistica il 1° novembre del 1969, festa di Ognissanti ma anche vigilia della festa dei defunti, Lotta Continua si sciolse come associazione politica extraparlamentare di sinistra dopo avere tanto inutilmente di parlamentarizzarsi nelle elezioni politiche anticipate del 1976. E in tempo per non essere direttamente coinvolta nella lotta armata alla quale stavano aderendo a titolo personale alcuni dei suoi militanti, stufi di battersi contro il sistema solo con le parole.

LA SOPRAVVIVENZA DI LOTTA CONTINUA

Essa sopravvisse come giornale quotidiano sino al 1982 incorrendo in clamorosi incidenti, a dir poco, come la campagna forsennata contro il commissario di Polizia Luigi Calabresi, assassinato sotto casa il 17 maggio 1972 dopo essere stato trattato mediaticamente, a dispetto di un verdetto giudiziario di segno opposto, come responsabile della morte di Giuseppe Pinelli nella Questura di Milano. Dove  l’anarchico, caduto o gettato nel cortile di quel fortilizio da una finestra, era trattenuto per interrogatori sulla strage avvenuta pochi giorni prima, il 12 dicembre 1969, nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana.

Ebbene, qualcosa di quanto meno omonimo a Lotta Continua è tornato dopo tanti anni fra noi. Ed è addirittura il governo, dove i due partiti che lo compongono, la Lega e il Movimento delle 5 stelle, lottano fra di loro attraverso i ministri così scompostamente ormai da aver fatto saltare la mosca sul naso persino al solitamente imperturbabile presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Che solo qualche giorno fa aveva orgogliosamente attribuito alla sua “pugliesità”, in una intervista al Corriere del Mezzogiorno, il merito e la capacità di “sorridere alla vita” e di “conservarsi umile”.

LA PAZIENZA DEL PREMIER CONTE…

A fare perdere al professore e avvocato di terra foggiana il sorriso e la pazienza generalmente abbinata all’umiltà sono stati – almeno alla prima apparenza- entrambi i vice presidenti del Consiglio, il grillino Luigi Di Maio e il leghista Matteo Salvini, e i loro colleghi di governo, ministri o sottosegretari che siano, a furia di polemizzare, sgambettarsi o graffiarsi, scaricandosi peraltro le responsabilità dei ritardi, delle contraddizioni, della confusione e di quant’altro di negativo inevitabilmente procurato all’azione dell’esecutivo. E, più in generale, ad un Paese per giunta alle prese con una recessione che persino il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha dovuto ammettere, dopo avere cercato tante volte di negarla o minimizzarla, parlando ad un convegno toscano. Dove ha colto l’occasione anche per difendere le banche dai sospetti e dagli attacchi pentastellati, sfociati peraltro nella legge su una commissione parlamentare d’inchiesta tipo anti-mafia promulgata dal capo dello Stati con tanto di preoccupazioni e moniti espressi in una lettera ai presidenti delle Camere.

…PERSA PIÙ CON SALVINI CHE CON DI MAIO

Il fatto che dopo avere chiesto, spazientito, ai suoi ministri “più sobrietà e generosità” il presidente del Consiglio abbia incontrato a Firenze, dove entrambi si trovavano, il vice presidente del Consiglio Salvini, distraendolo da una visita alla sua nuova, presunta fidanzata Francesca Verdini, e famiglia, ha dato l’impressione, a torto o a ragione, che il professore ce l’avesse, in realtà, più col leader leghista che con quello grillino. È d’altronde un’impressione, quella di uno sbilanciamento dei rapporti a favore delle cinque stelle, che i leghisti hanno spesso rimproverato pubblicamente a Conte. E ciò specie dopo il suo intervento a  gamba abbastanza tesa contro la linea ferroviaria ad alta velocità per il trasporto delle merci da Lione a Torino, contestatissima dai grillini e appoggiatissima dalla Lega.

L’ULTIMA POLEMICA SUL CONGRESSO DI VERONA

Non parliamo poi delle polemiche sul cosiddetto congresso mondiale a favore delle famiglie tradizionali svoltosi a Verona. Che è stato sostenuto dai leghisti con la partecipazione attiva di Salvini, catalogato come medievale dai grillini e privato da Conte di quella specie di logo di Palazzo Chigi che il ministro leghista della famiglia Lorenzo Fontana aveva permesso. E così quel congresso, o raduno, da occasione di scontro all’interno della Chiesa, quale probabilmente aveva all’origine, come un segnale critico ad un Papa considerato troppo poco tradizionale, a dir poco, da una parte dello stesso clero e dell’associazionismo cattolico, è diventato l’ennesimo terreno di scontro all’interno della maggioranza gialloverde, e dello stesso governo. Dove alla fine sono risultate incerte anche le competenze istituzionali, prima ancora delle linee più o meno programmatiche riconducibili al famoso, o fumoso, “contratto” stipulato fra i due partiti alleatisi a sorpresa dopo le elezioni dell’anno scorso. Alle quali essi avevano partecipato dicendosene e facendosene di tutti i colori, senza rinunciare -come si è visto dopo- alle loro abitudini o attitudini, in una sostanziale prosecuzione della campagna elettorale: anch’essa continua.

 

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