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Le pene di Marini, Raggi e Siri

Roma Commissioni Speciali

I Graffi di Damato sulle tegole piovute sul governo gialloverde tra l’avviso di garanzia arrivato al sottosegretario leghista Siri e la vicenda romana tra il sindaco Virginia Raggi e l’Ama

A dispetto di una settimana liturgicamente di passione, con i fedeli presi più dai sepolcri che dalle feste, questi potevano essere giorni finalmente fortunati per il governo gialloverde grazie a quel pur misero aumento dello 0,1 per cento del pil anticipato per il primo trimestre dell’anno dalla Banca d’Italia. Che qualche esponente grillino, in particolare, abbinandolo alla produzione industriale aumentata in febbraio rispetto sia al mese sia all’anno precedente, ha salutato come la prova dell’uscita dalla recessione “tecnica” registratati col segno negativo del prodotto interno lordo nei due trimestri precedenti. Alla cui responsabilità peraltro gli stessi grillini già avevano cercato di sottrarsi prendendosela con il governo di Paolo Gentiloni. Cui quello gialloverde di Giuseppe Conte era subentrato solo a giugno dell’anno scorso.

LE TEGOLE SUL GOVERNO GIALLOVERDE

Ma all’improvviso sono cadute su grillini e leghisti insieme, nel giro di poche ore, due tegole che sono tornate a contrapporli rovinosamente, per giunta sul terreno sempre scivoloso, ma ancor più in campagna elettorale, della giustizia.

IL CASO SIRI

La prima tegola, in ordine d’orario, è stata quella del sottosegretario leghista Armando Siri, raggiunto da un avviso di garanzia per presunta corruzione e già privato delle deleghe dal suo ministro grillino delle Infrastrutture Danilo Toninelli, ma difeso a spada tratta dal leader del Carroccio, vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno Matteo Salvini di fronte alle dimissioni reclamate, anzi intimate dal suo omologo a cinque stelle Luigi Di Maio.

L’AFFAIRE AMA E RAGGI A ROMA

La seconda tegola è stata quella della sindaca grillina di Roma Virginia Raggi, denunciata dall’ex presidente dell’azienda comunale dei rifiuti Lorenzo Bagnacani per averne preteso un bilancio in rosso e per averlo cacciato per ritorsione, essendosi lui rifiutato di provvedervi. La denuncia, in verità, non si è ancora tradotta, almeno sino al momento in cui scrivo, in una indagine o contestazione della Procura di Roma, ma essendo stata corredata di intercettazioni a dir poco imbarazzanti, eseguite dal denunciante, ha dato l’occasione a Matteo Salvini in persona e al suo movimento di porre ai grillini,  il problema  scabroso delle dimissioni della sindaca. A brigante, brigante e mezzo, soleva dire anche al Quirinale Sandro Pertini, il presidente socialista della Repubblica rimasto forse più caro nella memoria degli italiani.

LA DIFESA DI SIRI

Siri si difende dall’avviso di garanzia, in verità troppo pieno di condizionali per essere scambiato, come purtroppo si fa sempre e da tempo, per una sentenza di primo grado, o solo per un rinvio a giudizio, dicendo di non avere preso i 30 mila euro attribuitigli indirettamente e allusivamente nella intercettazione di un amico per una modifica al documento di economia e finanza dell’anno scorso, peraltro non introdotta, a favore di un’azienda eolica riferibile in qualche modo persino al capo latitante della mafia Matteo Messina Denaro. Ma riferibile così chiaramente all’insaputa del sottosegretario leghista che gli inquirenti non gli hanno contestato alcun reato di mafia, ma solo quello della corruzione, tutta naturalmente da provare.

LA STOCCATA DAL MISE

Qui arriva una dose suppletiva di veleno politico nella vicenda perché dal Ministero dello Sviluppo Economico guidato da Luigi Di Maio sarebbe partita verso la Procura di Roma la disponibilità a contribuire alle ricerche con una ricostruzione millimetrica della pratica contestata a Siri. Di cui intanto quella specie di Procura suppletiva della Repubblica che a volte, volente o nolente, riesce a diventare Il Fatto Quotidiano ha contestato la nomina stessa a sottosegretario, avendo a suo tempo patteggiato per bancarotta una condanna a un anno e 8 mesi di carcere.

ANCHE RAGGI RINFACCIA SUI RIFIUTI

Ce n’è abbastanza, come si vede, per alimentare di materiale, diciamo così improprio, la campagna elettorale  in corso per le europee e amministrative di fine maggio. Ma di materiale improprio ne ha scaricato sulla o nella faccenda anche la sindaca di Roma in persona rinfacciando al poi deposto presidente dell’Ama “la merda” -testuale- propinata alla città con la cosiddetta raccolta dei rifiuti, e intimandogli di cambiare in rosso il bilancio dell’azienda con lo stesso scrupolo col quale avrebbe dovuto condividere un suo capriccioso parere sulla luna “piatta” anziché tonda.

IL GIUSTIZIALISMO ANCHE DEL PD

Così scopriamo che di piatta il sottosegretario legista difeso da Salvini, ed esperto del settore, considera la tassa da inserire o estendere nel bilancio del prossimo anno, e la sindaca grillina di Roma considera invece la luna. Bellissimo. Ne riderà probabilmente persino la ormai ex governatrice dell’Umbria Catuscia Marini, fra una protesta e l’altra contro il giustizialismo del suo partito, il Pd. Da cui la signora è stata praticamente costretta alle dimissioni perché coinvolta nelle indagini sui concorsi truccati nella sanità, che hanno già portato agli arresti domiciliari, fra gli altri, l’assessore competente e il segretario, ora ex, regionale piddino.

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