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Le visioni di Bettini

Bettini

I Graffi di Damato sulla scommessa dell’eminenza grigia del Pd Goffredo Bettini su Conte “gigante” e Grillo “autorevole”

Visto che non si avverte neppure l’ombra di elezioni anticipate, per quanto richieste a gran voce dalle opposizioni di centrodestra e minacciate dallo stesso presidente della Repubblica in caso di crisi “al buio”, che in Italia è la regola perché manca nella nostra Costituzione l’istituto della cosiddetta sfiducia costruttiva impostasi dai tedeschi, ogni volta che  la maggioranza giallorossa vacilla, magari per uno starnuto di Matteo Renzi o per qualcuna delle scosse sismiche che si ripetono fra i grillini, tutti sperano giocoforza sulla tenuta del Pd. Lo fanno, sotto sotto, anche quelli che se ne dichiarano avversari e ne dicono peste e corna in pubblico, consapevoli invece che costituiscono per ora l’unico elemento stabilizzatore, specie nella crisi economica e sociale destinata ad aggravarsi dopo i danni già procurati dall’epidemia virale.

Anche fisicamente, con quel passo deciso e petto in fuori da fratello del commissario Montalbano mentre cammina per strada, e col piglio verbale delle richieste di “concretezza” e di “svolta” al presidente del Consiglio, pensando ai problemi che Giuseppe Conte ha col suo partito quanto meno di riferimento, che è il non partito delle 5 Stelle studiato proprio oggi da Carlo Galli su Repubblica, il segretario del Pd Nicola Zingaretti cerca di darsi e dare coraggio pure a chi non lo vota. Ma quando si pensa, o altri ricordano a chi non ci pensa, o svelano a chi non sa, che a reggere in realtà il Pd da molto lontano, visto che trascorre buona parte dell’anno nella lontana e gialla Thailandia, dove ha casa, servitù e quant’altro, ora trattenuto più a lungo a così grande distanza per le complicazioni dei collegamenti aerei e d’altro tipo in tempi di coronavirus, la fiducia comincia a vacillare. E aumenta la paura.

COSA HA DETTO “L’EMINENZA GRIGIA” DEL PD

Mi riferisco naturalmente a Goffredo Bettini, che manda continuamente messaggi per telefono, l’ultimo dei quali è stato appena affidato al Fatto Quotidiano. Dove nel richiamo dell’intervista in prima pagina è stato indicato ai lettori come “l’eminenza grigia”  del Pd, di cui ha allevato un po’ di segretari, è stato segretario capitolino, scopritore di sindaci, fra i quali i fortunati Francesco Rutelli e Walter Veltroni ma anche lo sfortunato Ignazio Marino. Ma nella pagina interna, dove lo spazio era maggiore per descriverlo, è diventato “il grande vecchio”. Che è un po’ un torto ai suoi, in fondo, soltanto 68 anni — se ho contato bene quelli trascorsi dal 1952 assegnato alla sua nascita — e un po’ uno spettro, visto ciò che durante gli anni di piombo si intendeva appunto per “il grande vecchio”: quello che tirava i fili del terrorismo e ci faceva vivere peggio di quanto non stia facendo adesso la paura del contagio virale. Allora si moriva davvero ammazzati.

Quel “gigante” dato da Bettini a Conte, con tutto il rispetto — per carità — dovuto al professore, avvocato e quant’altro, mi è parso francamente esagerato. Non vorrei che Bettini pensasse  di destinarlo, il più  tardi possibile naturalmente, alle “tombe dei Giganti”, con la maiuscola, della Sardegna nuragica. E poi, scusatemi, mi è sembrato non meno esagerata quella scommessa di Bettini — sentite, sentite — sull’”autorevolezza”, oltre  che sull’”intuito e la volontà unitaria” di Beppe Grillo. Di cui tanto valeva allora poco più di 10 anni fa, quando Bettini era già sul mercato politico a dispensare consigli, direttive e quant’altro,  accettare la richiesta di iscrizione al Pd ad Arzachena e il diritto reclamato di partecipare alla competizione per la successione a Walter Veltroni, o al reggente Dario Franceschini, come segretario. Ci saremmo risparmiato il Movimento 5 Stelle, annessi e connessi.

 

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