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Mattarella fra Draghi e dragate

Draghi Mattarella

Mattarella tra Scilla e Cariddi nella navigazione del governo Draghi… I graffi di Damato

Anticipato già ieri sul Corriere della Sera da Marzio Breda al termine di una corrispondenza dal Quirinale sui problemi vecchi e nuovi con i quali è alle prese Sergio Mattarella, comprese naturalmente le turbolenze del governo di Mario Draghi, oggi Repubblica ha rilanciato con maggiore evidenza un programma di visite che il Capo dello Stato si è proposto di compere in zone e comunità d’Italia particolarmente sofferenti, o comunque a disagio. Un “tour della dignità” lo ha chiamato il giornale fondato da Eugenio Scalfari coniugandolo con la parola più usata dallo stesso Mattarella nel discorso successivo al nuovo giuramento davanti alle Camere riunite in seduta comune: una dignità offesa anche dalle troppe disuguaglianze esistenti nel Paese, che ne ritardano lo sviluppo.

Nulla da eccepire, per carità, specie da parte di chi nel suo piccolo -molto piccolo- ha partecipato alla festa, chiamiamola così, per la rielezione di un presidente della Repubblica guadagnatosi giustamente l’apprezzamento e la riconoscenza degli italiani per la misura ma anche per la forza con la quale ha saputo esercitare, nel bisogno, le sue prerogative costituzionali. Il che accadde, per esempio, l’anno scorso, all’incirca di questi tempi, interrompendo una crisi troppo a lungo ritardata da Giuseppe Conte, nell’affannosa ricerca di truppe di rincalzo ai settori della maggioranza che lo avevano abbandonato, e mandando a Palazzo Chigi Mario Draghi a sorpresa dello stesso Conte. Di cui qualcuno celebrò addirittura i funerali politici sostenendo che fosse stato ucciso in una congiura di palazzo permessa, se non ordita, dal capo dello Stato.

Non vorrei tuttavia che ora, preso pur nobilmente dal proposito di difendere la dignità dei sofferenti, disagiati, emarginati, Mattarella sottovalutasse in questa lunga, direi anche troppo lunga campagna elettorale in corso per il rinnovo delle Camere l’anno prossimo, salvo incidenti che l’anticipino, tutti i chiodi che partiti, correnti e simili della maggioranza, più ancora dell’opposizione di destra di Giorgia Meloni, stanno spargendo sulla strada del governo per logorarlo nella migliore delle ipotesi, farlo cadere nella peggiore, magari scommettendo sul nervosismo del presidente del Consiglio. Il quale ha giustamente avvertito non solo di potere e sapere trovarsi da solo un altro lavoro, ma anche di non essere disposto a “tirare a campare”, come invece agli inizi degli anni Novanta Giulio Andreotti, sempre da Palazzo Chigi, disse di preferire al “tirare le cuoia” sottinteso alle critiche formulategli dal predecessore e collega di partito Ciriaco De Mita. Che, come Conte oggi con Draghi, non gli perdonava di avergli preso il posto. E, sempre come Conte oggi nel MoVimento 5 Stelle, era diventato presidente della Dc, ma per fortuna con minori poteri rispetto al segretario, che era Arnaldo Forlani.

Si, lo so, questi richiami al passato possono sembrare stucchevoli ai più giovani, ma aiutano a capire come la politica riesca a replicarsi in peggio. E il peggio -consentitemi pure questo- stavolta sta nel sottile gioco che vedo svilupparsi per seminare zizzania fra il Quirinale e Palazzo Chigi: per esempio, opponendo una presunta sottovalutazione del Parlamento da parte di Draghi al parlamentarismo quasi professionale di un presidente della Repubblica che, oltre ad essere stato a lungo deputato, ha insegnato diritto parlamentare.

Difficoltà, guai e quant’altro delle Camere non potevano essere descritti meglio dall’ex capogruppo del Pd Luigi Zanda al Senato dichiarando oggi a Repubblica: “La centralità del Parlamento è in crisi da 40 anni e tutti i governi hanno utilizzato molto decreti legge e voti di fiducia. La responsabilità è però del Parlamento che non ha fatto quelle riforme istituzionali che gli restituirebbero la pienezza della potestà legislativa”. O che, quando le ha fatte, se l’è viste boccate dagli elettori referendari.

 

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