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Ue, se Metsola blocca l’alleanza tra Conservatori e Popolari
L’intervista al Corriere della Sera della presidente del Parlamento europeo conferma la delicatezza della partita continentale per Meloni
Regge il patto tra Ppe e socialisti, mentre con i conservatori ci sono “differenze distintive”. Non solo, l’euroscetticismo è cresciuto perché “i partiti di centro davano per scontati i loro elettori”. Sono messaggi ben mirati quelli lanciati oggi dalla presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola.
Per diversi politici italiani saranno fischiate le orecchie leggendo l’intervista rilasciata dall’esponente istituzionale del gruppo Ppe al Corriere della Sera insieme ad altre testate europee.
METSOLA AL CORRIERE CHIUDE ALL’ASSE PPE-ECR
“Questo è il momento per l’Europa di riformarsi e ripartire dopo alcuni anni molto difficili”, esorta la presidente Metsola. “Dobbiamo creare una rete di sicurezza per l’industria, non abbandonare le ambizioni climatiche e mantenere l’uomo al centro delle nostre decisioni” aggiunge. Possibile un’alleanza alle Europee tra popolari e conservatori? “Ci sono differenze distintive tra i partiti politici del Ppe e dell’Ecr. E queste differenze non cambieranno” risponde la presidente del Parlamento europeo.
Su “Stato di diritto” e “questioni sociali”, invece, “c’è una grande maggioranza dal centrodestra alla sinistra, e questo non cambierà”. Per l’esponente del gruppo dei popolari “l’errore del passato è stato far crescere l’euroscetticismo perché i partiti di centro davano per scontati i loro elettori”.
GLI SCENARI EUROPEI VISTI DAL CORRIERE
Se la presidente Metsola vola alto, sempre sul Corriere della Sera l’editorialista Antonio Polito fa nomi e cognomi, prefigurando gli scenari che riguarderebbero proprio i conservatori e gli euroscettici nella fisonomia della prossima Commissione Ue e del Parlamento europeo. Un’analisi che parte dall’assunto che, considerate le difficoltà nel dar vita a una maggioranza stabile al Parlamento europeo e alla luce di quasi tutti i sondaggi, molto probabilmente il candidato presidente alla Commissione preferirà non limitarsi ad avere l’appoggio di Ppe, socialisti, liberali e centristi, ma che vorrà avere il sostegno di altri partiti che le garantiscano la maggioranza.
“Se Giorgia Meloni, in quanto capo del governo italiano – scrive Polito – darà il suo via libera nel Consiglio europeo a un candidato scelto in comune con Berlino e Parigi, difficilmente potrà poi votargli contro in Parlamento. Esattamente come fu cinque anni fa per Conte e per il Pis, il partito conservatore al governo in Polonia. Ecco dunque perché Salvini si agita: tenta di far pagare elettoralmente a FdI l’ipotesi che voti con i socialisti per far entrare il governo italiano nella stanza dei bottoni. Ma senza i socialisti (144 seggi) non esiste una maggioranza alternativa. I Conservatori europei guidati da Meloni sono accreditati di 77 parlamentari.
Non bastano. Sommarli a quelli del gruppo Le Pen-Salvini-AfD è politicamente impossibile”. Per Polito, a questo punto, “l’unica soluzione praticabile è perciò una nuova Grande coalizione, per la quale i voti di Giorgia Meloni possono essere preziosi. Cosa che spiega almeno in parte sia l’attenzione di Ursula per Giorgia, sia il perché la nostra premier abbia rinviato a un momento per lei migliore la scelta sul Mes”.
LA SFIDA EUROPEA DI MELONI
Uno scenario di cui abbiamo parlato sul nostro giornale lo scorso 14 luglio, ritenendo pressoché impensabile immaginare Meloni fuori dalla partita che deciderà la prossima commissione europea. Ne riportiamo un passaggio: “La premier vuole essere tra coloro che danno le carte. Ma per avere più peso contrattuale probabilmente non potrà esimersi all’inizio dal presentarsi alle elezioni in maniera compatta con il fronte dei Conservatori, di cui è presidente.
Dopo il voto si aprirà un’altra partita, lunga e tortuosa. Basti pensare che nel 2019 von der Leyen assunse l’incarico a dicembre, dopo sei mesi dalle elezioni. Il tutto coinciderà, tra l’altro, con il più importante appuntamento politico del 2024: le elezioni presidenziali Usa con la sfida tra democratici e repubblicani. Non ci sarebbe da stupirsi, dunque, se la presidente del Consiglio proverà a sfoggiare per l’occasione la politica dei due forni, una ‘via democristiana’ per non rimanere col cerino in mano: cavalcare l’onda dei voti dei Conservatori per poi ammiccare, anche in solitaria, alle nuove maggioranze variabili del futuro Parlamento europeo”.
Una possibilità, quest’ultima, di cui ha scritto pochi giorni fa anche Repubblica commentando l’evento dell’Ecr che si è svolto a Scilla, da dove è filtrata “la notizia che la premier, alla guida del partito di destra in Ue, passerà la mano appena dopo il voto di giugno 2024. Forse al premier ceco Fiala il testimone. Una mossa utile anche per i futuri equilibri”.