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Perché la Cina e l’Europa litigano sui semiconduttori

Crisi Semiconduttori

Perché la crisi mondiale dei semiconduttori dimostra che non si può fare a meno della Cina dall’oggi al domani. L’intervista esclusiva di Policy Maker ad Andrea Rossi, Ceo di ICS Industrial

La crisi dei semiconduttori colpisce silenziosamente moltissimi settori e lavoratori in tutto il mondo. In Italia, Fiat ha chiuso lo stabilimento di Melfi, in Giappone, Toyota ha deciso lo stop della produzione negli stabilimenti di Iwate e Miyagi per un periodo limitato in giugno; negli Stati Uniti, Biden ha riunito le maggiori case produttrici di componenti americane per rendersi indipendente dalla Cina, dove nella sola Shenzhen, “la Silicon valley dell’hardware”, si scambia circa il 90% dell’elettronica mondiale.

Ne abbiamo parlato con chi di lavoro si occupa di reperire direttamente in loco i componenti per approvvigionare le aziende – molte delle quali italiane. Andrea Rossi, Ceo di ICS Industrial, azienda nata a Milano ma ben radicata a Shenzhen, ci spiega cosa sta succedendo nel mondo dei semiconduttori.

crisi semiconduttori

Iniziamo con una breve panoramica su cosa sono e dove si trovano i semiconduttori:

I componenti elettronici si dividono in componenti attivi e passivi: entrambi sono montati sui circuiti stampati che sono anche chiamati printed circuit board (pcb) in inglese e determinano il funzionamento elettronico, una volta montati sulla scheda, di alcuni dispositivi. Questi dispositivi sono presenti in moltissimi settori e destinazioni d’uso: dall’elettromedicale all’automotive, al solare e all’energia, alle tv, smartphone, ecc. Quindi li troviamo sia in applicazioni industriali che consumer.

Quali sono i passaggi nella distribuzione dei semiconduttori?

Solitamente i semiconduttori sono distribuiti a livello globale da distributori ufficiali, quindi parliamo di multinazionali, cha hanno rapporti di agenzia ufficiale con le case madri, le case produttrici di componentistica. Queste sono presenti in America, in Giappone, in Europa, in Cina.

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Cosa ha provocato la crisi dei semiconduttori?

L’attuale crisi dei semiconduttori è determinata dalla mancanza di stock a livello globale. Con l’arrivo della pandemia lo scorso anno c’è stato uno stop alle produzioni degli impianti in Cina e in Asia in generale, si sono fermate le fabbriche delle case madri produttrici e questo ha determinato un’onda lunga che ha generato un disastro relativamente all’approvvigionamento di componenti elettronici.

Il motivo principale per cui attualmente si fa fatica a trovare i componenti è dato dal fatto che l’anno scorso due settori in particolare hanno drenato le risorse, ovvero richiesto componenti a livello globale: l’elettromedicale per la produzione di respiratori, saturimetri, termometri e tutti i dispositivi utili a contrastare la pandemia; e le telecomunicazioni, quindi tutte le tlc utili allo smart working.

covid ricerca

La sua azienda che ruolo ha nella filiera dei semiconduttori?

Noi siamo un’azienda di Milano che ha delle partnership radicate a Shenzhen. Ci occupiamo di aiutare le imprese – principalmente italiane – ad approvvigionarsi di componentistica elettronica. Shenzhen è una metropoli cinese con 15 milioni di abitanti, al confine con Hong Kong ed è il maggior centro mondiale per l’approvvigionamento dell’elettronica. È anche il maggior centro di scambio di componenti elettronici a livello globale e infatti viene anche chiamata “la Silicon valley dell’hardware”. A Shenzen si scambia circa il 90% dell’elettronica mondiale e lì noi abbiamo un team composto da personale madrelingua cinese ed esperto di elettronica.

Cosa è cambiato dall’inizio della crisi?

Con la crisi in atto, i distributori ufficiali che menzionavo prima hanno sostanzialmente chiuso i rubinetti quindi non ricevono più i componenti dalle case madri, il produttore di elettronica – che può essere la piccola, media ma anche grandissima azienda italiana o internazionale – non riesce più a ricevere componenti dai distributori ufficiali e si deve muovere per vie alternative.

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La nostra peculiarità è far saltare dei passaggi alle aziende che devono acquistare componenti: solitamente se l’azienda non trova il componente da un distributore ufficiale si rivolge a un broker. Il broker non fa altro che andare al 90% da un altro broker perché non ha un rapporto diretto con gli stock e questo ha un impatto sui costi, più intermediari ci sono e più aumenta l’impatto sul costo del componente e il prezzo per l’utilizzatore finale è maggiore.

Questo è sempre successo, poiché esistono broker a livello mondiale e ce ne sono molti anche in Italia, che approvvigionano componenti per le aziende produttrici e naturalmente gli stock maggiori si riescono a trovare in Asia, quindi parliamo di Shenzhen, Hong Kong, Taiwan, Singapore, ecc.

La crisi però ha colpito tutti indistintamente…

Chiaramente adesso il problema c’è per tutti, anche per chi fa il broker. I componenti in stock sono sempre meno e a questo si aggiunge l’aumento dei prezzi – talvolta vertiginoso – anche 10 o 15 volte il prezzo originale.

auto elettriche

Quanto durerà la crisi?

Intanto, secondo gli analisti la crisi durerà almeno fino alla fine di questo anno e c’è molto poco da fare perché se un impianto produttivo si ferma per due mesi, come è successo l’anno scorso, e a questo si aggiunge anche un drenaggio di risorse da ulteriori settori, pensiamo all’automotive e all’elettrico, le fabbriche produttrici di automobili elettriche stanno aumentando, questo aumenta l’indotto e quindi la domanda di componentistica è sempre maggiore. Gli impianti delle case produttrici devono adeguarsi ma questo richiede degli investimenti sul lungo periodo e la pandemia certamente non ha aiutato.

Dal punto di vista geopolitico, i rapporti tra Stati Uniti e Cina in che modo si intrecciano in questa situazione?

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden qualche settimana fa ha riunito le maggiori case produttrici di componenti americane per rafforzare l’idea che gli Stati Uniti non debbano dipendere dalla Cina e dall’Asia in generale per quanto riguarda le produzioni. Però parliamo di politiche che daranno i frutti probabilmente nell’arco di un quinquennio. La stessa Apple continua a produrre gli iPhone a Shenzhen nella sede della Foxconn, che agisce come contract manufacturer per la Apple, e non si può dismettere una produzione dall’oggi al domani. Non si può fare a meno della Cina dall’oggi al domani.

Leggi anche: Fiat a secco di semiconduttori chiude lo stabilimento di Melfi

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