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Perché la Brexit non è così male per la Difesa italiana
Brexit Deal e difesa: un bicchiere mezzo pieno (anche per l’Italia). L’analisi di Alessandro Marrone
L’accordo raggiunto da Unione europea e Regno Unito sui rapporti commerciali e la cooperazione post-Brexit rappresenta una buona notizia per la sicurezza dell’Europa, ma il bicchiere è solo mezzo pieno e molto occorrerà fare per costruire un’adeguata cornice nel campo della difesa.
La prima buona notizia è che una delle due maggiori potenze militari del Vecchio continente, che rappresenta circa un quarto delle capacità europee nel campo della difesa, detentrice di un autonomo deterrente nucleare e di un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, resta in buoni rapporti con l’Unione europea. Per un’Unione che già deve vedersela con vicini problematici ad est e sud, beneficiare di cooperazione e stabilità a nord-ovest non è cosa da poco. Stabili e positivi rapporti economici sono una condizione cruciale per la cooperazione sulla politica estera e di difesa, da cui sia Londra che l’Ue possono fortemente beneficiare viste le sfide comuni da affrontare – a partire da quelle cinese e russa.
L’accordo raggiunto migliora sia il clima tra gli alleati all’interno della Nato, sia le prospettive della cooperazione Nato-Ue, amplificando l’effetto trainante dell’amministrazione Biden.
Ha inoltre un impatto diretto e positivo sulla cooperazione di polizia e intelligence, tramite la continuazione dello scambio di dati su impronte digitali e Dna, e la collaborazione tra Europol e le autorità britanniche.
Mercati separati ma connessi
La seconda buona notizia riguarda i termini degli accordi commerciali. Uno studio IAI già nel 2018 identificava tre possibili scenari: un’unione doganale simile alle condizioni pre-Brexit; un’area di libero scambio; un no deal. L’accordo raggiunto si colloca nello scenario mediano. Non ci saranno infatti né quote né tariffe sui prodotti scambiati tra Ue e Regno Unito, ma ciascuna delle due parti sarà libera di gestire la propria politica commerciale rispetto ad altri Stati, con diverse tariffe e normative, e quindi saranno necessari controlli doganali su tutto l’import-export attraverso la Manica e il Mar d’Irlanda.
L’accordo prevede il riconoscimento di una sorta di corsia preferenziale per gli scambi reciproci, ma tutti i soggetti economici dovranno comunque fare i conti con normative e burocrazie cui non erano più abituati da oltre 45 anni. Inoltre, i cittadini Ue e britannici non potranno più spostarsi e soggiornare liberamente oltre i rispettivi confini. Si creeranno a tutti gli effetti due mercati separati, anche se molto interconnessi, con i conseguenti ostacoli, costi e ritardi per i flussi reciproci.
Cosa significa tutto ciò per la difesa? Significa che la cooperazione industriale e tecnologica diventerà più complicata, lenta e onerosa. Ciò avrà un certo impatto negativo sui programmi cooperativi in corso, da Eurofighter e Meteor al Tempest, e sui molti equipaggiamenti in cui sono integrati parti inglesi e italiane.
Lo stesso si verificherà per tutte le aziende italiane dell’aerospazio, sicurezza e difesa attive sul mercato britannico, a cominciare da Leonardo. Basti pensare alla movimentazione continua di componenti e tecnologie che in Italia non potranno più utilizzare le licenze europee generale e globale, agli spostamenti dei tecnici che non potranno più muoversi liberamente fra i due Paesi, alla regolamentazione di brevetti che non risponderanno più alla stessa normativa e, nel peggiore dei casi, alla risoluzione di controversie commerciali attraverso un meccanismo ben più complicato dell’autorità della Corte di giustizia dell’Ue.
Al lavoro per ridurre i danni
Per minimizzare complicazioni, costi e danni, sarà quindi necessario molto lavoro da parte governativa, militare ed industriale, principalmente a livello nazionale ma con un forte coordinamento europeo. In primo luogo per analizzare tutte le implicazioni per la difesa delle oltre mille pagine di accordo commerciale, e poi per riflettere su come ulteriormente regolare e gestire lo specifico mercato della difesa incentivando al massimo la cooperazione tra Regno Unito e Paesi Ue.
Visti i ramificati e profondi legami costruiti nei decenni, vi è una solida base da cui partire e da proteggere, specie per l’Italia e altri Stati Ue come Svezia e Paesi Bassi, la cui industria dell’aerospazio e difesa è maggiormente interconnessa con quella britannica. Un importante contributo potrà venire dalle iniziative intergovernative extra-UE e dai rapporti bilaterali.
Nel primo caso potrà essere utilizzata l’Occar, l’agenzia che già gestisce l’esecuzione di importanti programmi cooperativi di procurement, per continuare a fungere da braccio operativo per le cooperazioni con il Regno Unito. Nel secondo caso, il problema è sostanzialmente italiano perché è la nostra normativa ad essere particolarmente rigida, soprattutto per quanto attiene il controllo sulle esportazioni. Di qui la necessità di introdurre un minimo di flessibilità per poter gestire efficacemente le collaborazioni nel quadro degli accordi governo-governo.
Londra e la difesa europea
Un ulteriore capitolo riguarda la partecipazione britannica ai bandi dello European Defence Fund (Edf) e ai progetti della Permanent Structured Cooperation (Pesco). Qui le specifiche regole del gioco erano già state definite dall’Unione europea, e l’accordo commerciale appena raggiunto fornisce una favorevole cornice generale.
Adesso molto dipenderà dalla direzione politica che prenderanno le iniziative Ue, e dal livello e tipo di autonomia strategica che l’Unione vorrà raggiungere. Anche su questo fronte, l’Italia dovrebbe lavorare per un approccio pragmatico che massimizzi la collaborazione con Londra nel rispetto della sovranità di tutte le parti in campo.
Dopo quattro anni di limbo il Regno Unito volta pagina con l’Ue, e nel nuovo quadro strategico i prossimi capitoli della storia europea possono essere scritti ancora insieme a beneficio di tutta l’Europa.
Articolo pubblicato su affarinternazionali.it