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Post Covid, quale futuro per i nostri ragazzi?

Ragazzi Covid Riforma Degli ITS

Per il 70,5% dei ragazzi, il futuro lavorativo dopo il Covid è rappresentato dai lavori tech, ma ci sono forti dubbi sul fatto che la scuola prepari adeguatamente alle nuove mansioni

L’Osservatorio sulle Giovani Generazioni di Flowe del Gruppo Bancario Mediolanum ha elaborato una analisi sui ragazzi alle prese con studio, lavoro e prospettive future, nel complesso momento storico caratterizzato dal Covid-19. Per quasi il 47% dei ragazzi il giudizio circa la propria vita nel corso dell’ultimo anno non è positivo, mentre nel 2020 i giudizi negativi si posizionavano attorno al 36%, segnale di un netto peggioramento delle condizioni.

Anche guardando alle percezioni del presente, il giudizio dei ragazzi sulla propria vita si attesta appena sulla sufficienza, con un voto pari a 6,2 su 10. Restano invece fortunatamente positive le prospettive a un anno, segno della fiducia dei più giovani in un futuro che andrà via via riequilibrandosi: la situazione (da intendersi in senso generale) tra un anno andrà meglio secondo il giudizio del 50,4% degli intervistati e, fra tre anni, secondo il 71,1%.

Spinti a riflettere più che mai sui tempi che arriveranno, i ragazzi si trovano a scegliere con più difficoltà del passato la propria strada. Anche per via delle difficoltà dettate dalla pandemia, i giovani hanno capito quanto sia importante essere pronti a modificare le proprie strategie per raggiungere i propri obiettivi, tanto che il 68,1% ritiene essenziale adeguarsi alle nuove condizioni e opportunità che si presentano, il 65,3% crede rilevante continuare a misurare gli avanzamenti verso tali obiettivi e il 63,2% pensa di dovesi impegnare di più per accelerare verso l’obiettivo.

A dettare le scelte sul proprio futuro e in particolare sulla propria carriera lavorativa, sono da un lato gli interessi e le passioni (42,2%) o le proprie capacità (35,8%), dall’altro le possibilità e le prospettive lavorative. Interrogati sulle carriere che vorrebbero intraprendere, i giovani rispondono indicando professioni note e tradizionali (artista, insegnante, imprenditore, avvocato, psicologo, manager e medico ai primi posti), mentre emergono poco spontaneamente le professioni più nuove, che stanno però vivendo una sempre maggiore espansione.

È il caso delle professioni digitali, ancora poco o per nulla conosciute dai ragazzi, che dichiarano come la scuola non li formi né informi a sufficienza. Ci sono infatti (forti) dubbi sul fatto che la scuola possa essere in grado di fornire competenze per questo tipo di professioni per il 70,5% degli intervistati.

Le professioni digitali, quelle che si sono sviluppate grazie a Internet e ai social media e all’evoluzione della tecnologia, sono conosciute spontaneamente solo dal 36,1% dei 15-30enni, che citano influencer (43,4%), social media manager (18,9%) e youtuber (9,6%). Meno noti, invece, lavori in forte crescita nelle aziende, ma meno esposti sui media, come l’e-commerce manager, il game developer o il data scientist.

ragazzi covid

Interrogati sulla propria preparazione per questo universo lavorativo, i ragazzi dimostrano a sorpresa una certa superficialità e si dicono convinti di poter imparare il mestiere in poco tempo, anche come semplici autodidatti, nel giro di un anno. È segno di una lettura leggera di queste professioni, dettata anche dalla poca conoscenza del settore, per il quale sono in realtà importanti conoscenze e competenze specialistiche, non sempre facilmente acquisibili attraverso percorsi di studi tradizionali. In riferimento agli strumenti e agli enti di formazione, i ragazzi ritengono utili e necessari: corsi online tenuti da professionisti del settore (20,3%), oltre a corsi specifici post diploma (26,5%), corsi di specializzazione o master post-laurea (18%), università (23,5%) e scuole specifiche di secondo grado (solo per l’11,8% degli intervistati).

Un giovane su cinque riconosce infatti la possibilità di sfruttare una formazione aggiuntiva e non tradizionale, accedendo a corsi digitali, anche in funzione delle specifiche competenze richieste, acquisibili “altrove” secondo il 60,4% degli intervistati.

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