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Quanto contano i 210 chilometri tra Catania e Palermo per la Giustizia

Lega

I Graffi di Francesco Damato sul caso Salvini

I duecentodieci chilometri che separano Catania da Palermo corrono naturalmente nella stessa regione e nello stesso Stato, ma non per la Giustizia, al maiuscolo. Vi corrono solo per la giustizia al minuscolo, com’è quella cui è stata ridotta dai nostri legislatori di certo, con codici, norme e quant’altro prodotte e pubblicate con tutti i timbri dovuti, ma ancor più dai magistrati che le applicano nel tempo che rimane a loro disposizione nei tribunali, dopo quello che impiegano per curare le proprie carriere e sgambettarsi a vicenda secondo moduli ormai tristemente noti. Che fanno notizia, e scandalo, più degli imputati dei loro processi.

Il Consiglio della Magistratura di Superiore, con la maiuscola voluta dalla Costituzione, ha soltanto il nome. E lo scrivo non con compiacimento o per denigrare l’istituto presieduto dal capo dello Stato, ma solo con rammarico, e perché indottovi dalle cronache che lo investono sempre di più come una barca malandata.

Per quanti sforzi potranno o vorranno fare gli esperti o i sacerdoti dell’attuale sistema giudiziario – di cui solo a reclamare una profonda e vera riforma si rischia il linciaggio, o si viene scambiati per sovversivi – nessuno potrà mai riuscire a spiegare alla gente comune perché da uno stesso fatto contestato in uffici distanti appunto 210 chilometri, non dico un ex ministro, com’è nel nostro caso Matteo Salvini, ma un imputato qualsiasi possa essere prosciolto – o farla franca, come direbbe un magistrato che ora ha qualche problema più personale di cui occuparsi – o indifferentemente essere rinviato a giudizio, e magari essere condannato come un sequestratore di poveri disgraziati trattenuti sadicamente a bordo di navi, peraltro regolarmente assistite e rifornite, per il tempo necessario a definirne pratiche e destinazioni in un continente di cui condividiamo i confini meridionali.

Lo stesso Fatto Quotidiano, che non può certamente essere considerato un giornale prevenuto contro magistrati e Magistratura, pur con caratteri simili a quelli di un bugiardino che troviamo nelle confezioni dei medicinali, ha commentato così in prima pagina il processo che l’ex ministro leghista dell’Interno ha evitato a Catania e quello che lo aspetta invece a settembre a Palermo per questioni di migranti a bordo di navi condotte verso i porti italiani: “Sequestro Gregoretti (nave della Marina): Salvini prosciolto a Catania. Per Open Arms (nave privata) invece è a processo. Ma sarebbe stato più logico il contrario”. Peraltro, le due navi si erano mosse con i loro carichi nello stesso anno e nella stessa stagione estiva: 2019.

L’amministrazione della giustizia italiana, sempre al minuscolo, non riesce quindi a soddisfare neppure la “logica” di un giornale come quello diretto da Marco Travaglio, dove il solo termine “garantista” fa rizzare i capelli, o farli cadere a chi li ha ancora. O solo a sentir parlare di referendum sui temi e problemi della Giustizia, con la maiuscola, che il Parlamento non riesce da decenni a risolvere, si è tentati di correre in montagna per impugnare le armi contro gli invasori, Che vogliono andare alle urne solo per rispondere con una matita sì o no a domande che non possono essere stampate sulle schede senza cinquecentomila richieste e il consenso finale della Corte Costituzionale, dopo quella della Corte di Cassazione. Povera giustizia, per quanto già minuscola.

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