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Saranno Draghi e Mattarella a ricucire i rapporti con Parigi?

Draghi

Cosa succede (e succederà) tra Roma e Parigi. I Graffi di Damato

Più ancora del ministro degli Esteri Antonio Tajani davanti alle quinte, al Consiglio europeo di lunedì con i suoi omologhi dei paesi dell’Unione, chissà quanto dovranno lavorare dietro le quinte il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, suoi amici ormai anche personali, oltre che politici, per calmare Emmanuel Macron. E fargli abbassare quel braccio ad ombrello che gli ha attribuito sulla prima pagina del Corriere della Sera il vignettista Emilio Giannelli all’indirizzo dell’Italia, con la fraternitè della rivoluzione francese tradotta in fraterni…tiè!!!.

Più che “isterici”, come ha titolato la Verità di Maurizio Belpietro, o “vigliacchi”, secondo Libero di Alessandro Sallusti, o “bulli” secondo il Giornale, che ha usato anzi il singolare prendendosela solo o direttamente con Macron, i nostri cugini d’oltr’Alpe sono permalosi. Ed hanno reagito, magari esagerando un pò, ad una oggettiva imprudenza esibizionistica compiuta dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal vice presidente Matteo Salvini cantando vittoria per il porto di Marsiglia, diventato poi il porto di Tolone, aperto alla nave del volontariato battente bandiera norvegese Oceanic Viking, carica di più di 230 migranti soccorsi in mare al largo delle coste africane e probabilmente destinati, nelle intenzioni dell’equipaggio, a qualche porto italiano.

Un po’ perché obiettivamente e giustamente  sorpreso dalla mancanza di tatto della Meloni e di Salvini, un po’ perché scavalcato nel suo malumore dalle reazioni comunitarie di Bruxelles alla condotta italiana, un po’ perché messo in difficoltà dall’opposizione della destra di casa, che in materia di sovranismo, chiamiamolo così, è concorrente della destra italiana, Macron ha rialzato con le parole e gli atteggiamenti “il muro delle Alpi” su cui ha titolato Avvenire. E si è persino prestato alla lettura personalistica di Repubblica con l’annuncio “Macron rompe con Meloni”.

Alla nave battente bandiera norvegese è stato ugualmente permesso di sbarcare i migranti in Francia, dopo una certa tentazione di dirottarla  di fatto verso qualche porto sardo. Ma in compenso sono stati rafforzati i già vessatori controlli del confine terrestre italo-francese, a Ventimiglia e dintorni, e annullata -o sospesa, si spera- la già programmata attribuzione al governo di Parigi di più di tremila migranti approdati nei mesi scorsi, o ancor prima, in Italia.

Questa vicenda, oggettivamente incresciosa, è stata paragonata dal Foglio anche nella titolazione a quella dei “gilet gialli” anti-Macron che, per quanto avessero messo a ferro e a fuoco Parigi e altre parti del territorio francese, furono omaggiati come eroi, con tanto di visita, dall’allora vice presidente grillino del Consiglio Luigi Di Maio, accompagnato o forse più al seguito dell’allora amico personale e collega di partito Alessandro Di Battista. Era in carica il primo governo di Giuseppe Conte.

Al richiamo in patria, per protesta, dell’ambasciatore francese in Italia  il presidente Sergio Mattarella al Quirinale dovette sudare le proverbiali sette camicie per una ricucitura dei rapporti cui non bastava, a quel punto, l’allora presidente del Consiglio Conte. Che si trovava come, se non peggio delle condizioni attribuite oggi dal Fatto Quotidiano, suo estimatore nostalgico, a Giorgia Meloni. Che il vignettista Riccardo Mannelli ha rappresentato truce e romanesca come una “faccetta nera” borbottante mor “tacci tua”. Sono, per carità, i diritti della satira, o -da quelle parti- i doveri della lotta politica.

Tutti i Graffi di Damato. 

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