skip to Main Content

Tutte le confusioni dei giornali sul caso Cospito

Isis

I Graffi di Francesco Damato

Da Cospito, il detenuto anarchico abbracciato dalle opposizioni nel suo sciopero della fame contro il regime carcerario speciale del 41 bis anche per conto dei mafiosi che gli fanno compagnia, a Caspita gridato genialmente al femminile doppio dal manifesto. Che credo sia rimasto anch’esso colpito, pur con l’esperienza politica di quanti vi scrivono e vi titolano da più di 50 anni, dalla confusione nella quale si sono infilati un po’ tutti raccontando e commentando questa vicenda che ha sorpassato sulle prime pagine dei giornali la guerra in Ucraina e tant’altro.

Persino Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, impensierendomi ancora una volta nella condivisione, ha sottolineato un sondaggio dal quale risulta che “solo il 16,1% degli italiani vuole togliere il 41 bis a Cospito e solo il 3,7 vuole abolirlo per tutti”. Pertanto “i rappresentanti del popolo e dell’opinione pubblica”, cioè politici e giornali, dovrebbero ogni tanto buttare un occhio fuori dalle loro stanze….e farsi un’idea di ciò che accade nel mondo reale”. Per i politici c’è il rischio di non essere votati, persino in blocco con l’astensionismo notoriamente crescente, e per i giornalisti il rischio di mandare nelle edicole, che peraltro si riducono sempre più di numero, solo carta per “avvolgere il pesce”, ha scritto ancora Travaglio. Che spesso, in verità, vi contribuisce pure lui montando più l’effimero che il vero, più la monnezza che altro.

Ditemi voi se non è confusione quella fatta personalmente dal segretario uscente del Pd Enrico Letta prima sollecitando una “risposta” della presidente del Consiglio sulla vicenda Cospito, appunto, e poi, una volta ottenutala con una lettera al Corriere della Sera, per quanto a “Meloni girati”, come ha titolato Libero, l’ha liquidata come “incitamento alla piazza”. Così ha titolato La Stampa contribuendo di fatto ad attribuire alla premier la responsabilità delle proteste e dei disordini in cui gli anarchici si stanno impegnando un pò dappertutto.

Eppure, diversamente dal titolista del suo giornale, o dal vignettista Stefano Rolli sul Secolo XIX di comune proprietà, che ostenta oggi la fiamma del partito della Meloni, il direttore Massimo Giannini in persona si è immedesimato in un “fratello d’Italia”, diciamo così, ed ha scritto testualmente nel suo editoriale: “Per adesso, trascorsi più di tre mesi a confutare e congetturare nell’agognata stanza dei bottoni, mi pare che si stia già un pò morendo, mentre di fare l’Italia non se ne parla proprio”. Di farla, cioè, al modo promesso dalla Meloni in campagna elettorale o attribuitole dagli avversari che la vedono come una nipote o pronipote virtuale di Benito Mussolini, smaniosa di arrivare sempre “ai ferri corti” con gli altri, come ha titolato Repubblica, nonostante nella lettera al Corriere della Sera, la premier abbia richiamato anche i suoi fratelli e sorelle d’Italia alla moderazione.

Questa confusione è evidentemente la politica, bellezza, come diceva della stampa quel tale a Casablanca.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Back To Top