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Tutti gli ultimi travagli dei grillini alla Camera. I Graffi di Damato
I Graffi di Damato
Cominciato nel migliore dei modi, con le immagini televisive della sindaca pentastellata Virginia Raggi accorsa ad assistere quasi all’alba all’irruzione delle forze dell’ordine in otto ville sfacciatamente abusive e cafonescamente arredate in un quartiere di Roma per troppo tempo dominato dai Casamonica, il martedì 20 novembre si è sviluppato e chiuso nel peggiore dei modi per i grillini. È diventato un martedì nero tra gli stucchi, gli specchi, i lampadari, le vetrate e le autorità accorse alla Camera per festeggiare i cento anni dell’aula di Montecitorio progettata, nel rimaneggiamento dell’intero Palazzo, dall’architetto Ernesto Basile.
IL CENTENARIO DI MONTECITORIO
La cerimonia non poteva che tradursi, con la regia peraltro del presidente grillino dell’assemblea Roberto Fico, emozionatissimo anche nella voce e nei movimenti, in una celebrazione festosa, per niente funeraria, di quel Parlamento che il partito dello stesso Fico aspira di fatto a rottamare con l’avvento della democrazia cosiddetta digitale. Che potrebbe destinare Montecitorio e Palazzo Madama ad altri usi, bastando all’uno e all’altro una postazione elettronica per registrare i sì e i no che da casa gli elettori, ai tasti del computer, dovrebbero esprimere alle leggi e ai governi, dopo essersi risparmiata con lo stesso metodo la corsa ai seggi per eleggere deputati e senatori.
Per i loro gusti, e per il giudizio liquidatorio che hanno sempre espresso sulle due edizioni, diciamo così, della Repubblica che hanno preceduto il loro approdo al governo, i grillini debbono essere rimasti quanto meno sorpresi anche per gli applausi che, sia pure a luci spente, durante la proiezione di un filmato sintetico sui cento anni di vita parlamentare passati dall’inaugurazione dell’aula, hanno sentito applaudire la voce e l’immagine di Bettino Craxi. Di cui è stato riproposto, in particolare, lo storico e non rapidissimo passaggio del discorso pronunciato il 3 luglio 1992 per la fiducia al governo che avrebbe dovuto presiedere proprio lui ma di cui fu costretto dal capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, fresco di elezione, a cedere la guida al collega di partito Giuliano Amato. E ciò per il discredito procurato al segretario del Psi dalle voci sul possibile, e poi sopraggiunto, coinvolgimento nell’inchiesta “Mani pulite” della Procura di Milano sul finanziamento illegale della politica ed eventuali reati connessi: corruzione, concussione e altro.
IL RICORDO DI CRAXI
In quel discorso Craxi, già presidente del Consiglio dal 1983 al 1987, sfidò i leader di tutti gli altri partiti e organizzazioni similari a negare di avere ricevuto, al pari del suo, finanziamenti “irregolari o illegali”, in aggiunta a quelli pubblici regolati per legge. Il silenzio imbarazzato che cadde 26 anni fa su quella sfida è stato, diciamo così, vendicato dagli applausi riservati alla replica, come riconoscimento evidentemente del coraggio e della lealtà di Craxi. Che poi pagò l’uno e l’altra diventando sostanzialmente il capro espiatorio di quella complessa vicenda giudiziaria, sino a doversi sottrarre ai processi a sbocco ormai segnato e all’arresto rifugiandosi nel 1994, protetto dal governo tunisino, nella sua casa di Hammamet per morirvi sei anni dopo: per giunta, nell’impossibilità di essere curato meglio in patria del diabete, del cuore e del sopraggiunto tumore a un rene, avendo i magistrati milanesi rifiutato l’ipotesi di consentirne il ricovero in un ospedale milanese in regime di libertà.
ALL’ESAME DELLA LEGGE SPAZZACORROTTI
Finita la cerimonia celebrativa di un secolo di storia parlamentare interrotto solo dalla dittatura fascista, e tornati nel pomeriggio nell’aula di Basile per l’esame della legge “spazzacorrotti”, come l’hanno voluta chiamare con l’enfasi dei protagonisti, i grillini hanno dovuto verificare, a dispetto dei margini di cui dispongono sulla carta, la debolezza politica della loro maggioranza gialloverde: una debolezza ancora più clamorosa nel contesto in cui si sta svolgendo il “confronto”, cioè lo scontro, fra il governo e l’Unione Europea sui conti italiani, per non parlare del drammatico andamento dei titoli del nostro debito nei mercati internazionali.
Un emendamento alla legge sulla corruzione, proposto da un ex grillino, osteggiato dal ministro pentastellato della Giustizia e riduttivo del peculato di cui stanno rispondendo amministratori leghisti nell’uso dei fondi destinati ai gruppi consiliari, è stato approvato a scrutinio segreto con 284 sì e 239 nove. “Sabotaggio”, ha subito gridato contro la Lega per i grillini il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio.
Sempre a scrutinio segreto, è stato bocciato con una ventina di voti di scarto, contro le centinaia di cui dispone in teoria la maggioranza, un emendamento per togliere dalla stessa legge la norma sulla fine della prescrizione con la sentenza di primo grado. È una norma contestata dalla Lega, e dalle opposizioni, come “una bomba atomica” sui processi, per ripetere l’espressione della ministra della pubblica amministrazione e avvocatessa Giulia Bongiorno, e appesa con un ambiguo e controverso compromesso alla riforma del codice di procedura penale, di là, molti di là da venire, anche se il governo si è dato poco più di un anno di tempo per proporla e realizzarla.