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Tutti i veleni della fine della legislatura di Draghi

draghi chiude al bis Nadef

Cosa succede negli ultimi giorni del Governo Draghi

Il veleno nella coda della diciottesima legislatura interrotta dalla crisi del governo di Mario Draghi non è quello della conversione in legge del decreto sugli aiuti a famiglie e imprese danneggiate dai rincari dell’energia ritardata al Senato dai grillini. Conversione sbloccata all’ultimo momento in una situazione così confusa che è passata tra le maglie del provvedimento una spuria deroga al tetto stipendiale dell’alta burocrazia sulla quale Draghi è praticamente sbottato anche contro il fedelissimo e stimatissimo ministro dell’Economia Daniele Franco. Il quale aveva trovato la necessaria copertura alla norma introdotta tra voti favorevoli e astensioni di praticamente tutti i partiti lasciatisi evidentemente convincere, a livello di esperti, da qualche furbacchione della pubblica amministrazione interessato a guadagnare più di 240 mila euro l’anno.

Sta ora arrivando -tra la prossima e ultima settimana della campagna elettorale e quelle successive ma a Camere nuove non ancora insediate- un altro decreto interministeriale, il quinto della serie, sugli aiuti militari italiani all’Ucraina aggredita dalla Russia.

Il più sensibile -o suscettibile, come preferite- al problema si è mostrato Il Fatto Quotidiano aprendovi la prima pagina in una chiave ostile analoga alla posizione assunta dal partito di Giuseppe Conte. Del quale il giornale diretto da Marco Travaglio non gradisce sentirsi definire “l’organo ufficiale”, come ha appena fatto il segretario del Pd procurandosi l’annuncio o la minaccia di una querela, ma casualmente -diciamo così- condivide spesso la linea. O a volte riesce persino ad anticiparla, com’è accaduto col rifiuto dei pentastellati di concedere l’ultimo dei 56 voti di fiducia chiesti in Parlamento da Draghi in circa un anno e mezzo di governo.

Tuttavia su questo passaggio delle armi all’Ucraina, ed anche dell’addestramento di militari di quel paese, Draghi non avrà certo da sbottare col ministro della Difesa Lorenzo Guerini, convinto come lui della necessità del sostegno appena confermato in una conversazione telefonica dal presidente del Consiglio al suo omologo a Kiev,  Volodymir Zelensky. Nè avrà da temere agguati nell’unica sede parlamentare dove potrebbero tentarne i pentastellati, che è il Copasir, cioè il comitato parlamentare di sicurezza della Repubblica abilitato ad esprimere un parere. Esso è presieduto per legge da un esponente dell’opposizione: in questo caso Adolfo Urso, del partito di Giorgia Meloni. Che però in materia di politica estera, e in particolare di guerra in Ucraina, è non schierato ma schieratissimo con Draghi. Casualmente è proprio Urso che si è appena recato in Ucraina a confermare, pure lui, gli impegni italiani ed è atteso negli Stati Uniti per incontri di informazione con esponenti del governo americano.

In questa situazione che potremmo definire politicamente blindata per Draghi il veleno dell’azione di contrasto può ritorcersi solo contro Conte. Che senza nessun imbarazzo, nell’ennesima rappresentazione camaleontica della sua politica rimproveragli dagli avversari, si è detto “orgoglioso” della resistenza degli ucraini impegnati proprio in questi giorni in una controffensiva cocente per gli invasori russi, ma contrario ad ulteriori aiuti da un’Italia, secondo lui, ormai in recessione economica.

Anche il non certamente grillino Lucio Caracciolo, un giornalista e docente esperto di geopolitica, ha convenuto in una intervista al Riformista che “l’Italia può reggere a fatica il prolungamento della guerra” in qualche modo insito proprio nella riuscita della controffensiva ucraina. “Il razionamento dell’energia, il prezzo del carburante, l’inflazione e l’instabilità dell’eurozona sono pesanti. La tenuta sociale è a rischio”, ha osservato Caracciolo. Che però, diversamente da Conte, non per questo ha auspicato la fine degli aiuti agli ucraini. Occorre piuttosto “cambiare il sistema informativo per preparare l’opinione pubblica a mesi futuri di sacrificio”, necessari per convincere Putin con le buone o le cattive ad una soluzione diplomatica della guerra da lui sconsideratamente aperta a febbraio nella convinzione di vincerla in un paio di settimane. L’inverno, a questo punto, è pericoloso pure per lui e non solo per Zelensky, per i russi e non solo per gli occidentali, anche se i russi vi sono più abituati.

TUTTI I GRAFFI DI DAMATO.

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