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Vi racconto le stelle cadenti dei grillini a Roma e a Melendugno

I graffi di Damato sulle stelle cadenti grilline da Roma a Melendugno

In ritardo rispetto all’ultima notte di San Lorenzo, il 10 agosto scorso, e in grande anticipo rispetto alla prossima, le stelle del movimento grillino sono cadute sulla cittadina pugliese di Melendugno. Dove gli ormai ex elettori del partito di Grillo sono in rivolta contro l’annuncio del governo che ha confermato la realizzazione del gasdotto Tap, con l’approdo sulla spiaggia locale di Santa Foca.

NON PIÙ BENVENUTI

Difficilmente il vice presidente pentastellato del Consiglio Luigi Di Maio potrà tornare a Melendugno e lasciarsi riprendere festosamente col sindaco Marco Poti, come fece in campagna elettorale, quando si impegnò contro il gasdotto e procurò al suo partito il 65 per cento dei voti. Tanto meno lo potrà fare dopo essersi unito al presidente del Consiglio Giuseppe Conte spiegando che sono in gioco una ventina di miliardi di euro come penale, ma è stato smentito immediatamente dal suo predecessore al Ministero dello Sviluppo Economico, il piddino Carlo Calenda. Il quale, ben al corrente della pratica, chiamiamola così, ha precisato – pur con qualche forzatura polemica negando la storia dei venti miliardi, perché un rischio di pagare danni in caso di ritiro in effetti ci sarebbe – che non è questione di penale, ma di scelta economica e politica: economica per i vantaggi che potranno derivarne ai nostri approvvigionamenti energetici e politica per i rapporti internazionali, in particolare con gli Stati Uniti d’America. Dove alla Tap tengono moltissimo. Del presidente Donald Trump i grillini non possono compiacersi solo quando rilascia dichiarazioni o fa emettere comunicati a sostegno del governo di Giuseppe Conte: “Giuseppi”, come lo chiama l’inquilino della Casa Bianca.

Non a caso, del resto, è recente il viaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella terra di sostanziale partenza del gasdotto, in Azerbaigian, a cavallo tra Asia e Europa: un viaggio di conferma esplicita, fra l’altro, dell’impegno italiano per la realizzazione del progetto internazionale del gasdotto.

DI MAIO COSTRETTO A SEGUIRE LE ORME DEL PREDECESSORE

Già costretto dalla realtà a seguire il predecessore Calenda nella gestione dell’affare Ilva a Taranto, Di Maio ha dovuto seguirlo quindi anche nella gestione della Tap, magari ripromettendosi una rivincita – non so ancora, francamente, con quale esito – dall’altra parte della penisola, al confine con la Francia, dove si gioca la partita della Tav, la linea ferroviaria commerciale ad alta velocità proveniente da Lione.

L’ATTACCO A DRAGHI NON CI VOLEVA

I grillini insomma hanno veramente toppato. E nel momento peggiore, quando già Di Maio – sempre lui – li aveva esposti su un fronte che li ha completamente isolati, e divisi: l’attacco al governatore italiano della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Che è stato accusato dal vice presidente pentastellato del Consiglio di avvelenare il confronto, chiamiamolo così, in corso fra Roma e Bruxelles, cioè l’Unione Europea, sulla manovra finanziaia in deficit varata dal governo, e sul bilancio del 2019 che ne seguirà.

RAGGI CILIEGINA SULLA TORTA

La ciliegina sulla torta della crisi politica del Movimento 5 Stelle l’hanno messa i romani con la manifestazione di protesta sulla piazza michelangiolesca del Campidoglio per il degrado della Capitale dopo due anni di amministrazione grillina.

La sindaca Virginia Raggi, reduce da un incontro di incoraggiamento col presidente della Camera e suo collega di partito Roberto Fico, ha liquidato i dimostranti, fra i quali sono stati ripresi e intervistati elettori dichiaratamente delusi delle 5 stelle, come “nostalgici di Mafia Capitale”. Qualcuno forse le spiegherà volenterosamente nel suo stesso partito, preoccupato anche dell’esito del processo in corso contro di lei sul terreno delle nomine capitoline, che ha esagerato. E che sbagliare è umano, perseverare è diabolico.

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