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Vi spiego perchè Salvini è il vero problema di Giorgia Meloni. Parla il prof. Fabio Torriero

Giorgia Meloni in veste istituzionale da Vox. La Direzione PD ha fatto l’analisi della sconfitta. L’analisi del prof. Fabio Torriero

Domenica scorsa Giorgia Meloni è intervenuta alla convention elettorale di Vox, partito spagnolo di destra, mostrando un aplomb decisamente governativo, dopo una discorso tenuto dinanzi a membri della Coldiretti e giorni di silenzio post vittoria. Giovedì scorso, invece, è andata in scena la Direzione del PD, trasmessa in streaming, durata all’incirca dieci ore e tutta dedicata all’analisi della sconfitta elettorale. Due avvenimenti politici interessanti dal punto di vista della comunicazione politica e non solo, che ci dicono che direzione prendono maggioranza ed opposizione.

Di tutto questo ne abbiamo parlato in maniera approfondita con il prof. Fabio Torriero, consulente di comunicazione politica, spin doctor e docente presso la LUMSA. 

Giorgia Meloni è intervenuta alla kermesse elettorale di Vox con toni estremamente pacati. Com’è cambiata e perché la comunicazione di Giorgia Meloni?

È cambiata moltissimo e risente del ruolo attuale di Giorgia Meloni. Nel suo discorso Giorgia Meloni ha parlato di un percorso che tutti partiti del gruppo europeo conservatore possono fare per andare al potere. Come a dire “le nostre idee diventano argomento di governo”. Ho notato un salto si qualità che non è solo strategico o tattico, fa parte di una nuova fase che la Meloni sta vivendo prima di formare il Governo. Teniamo presente che lei è presidente del gruppo conservatore all’interno del quale ci sono varie anime e componenti. Da un lato lei è pragmatica, dall’altro resta sé stessa sebbene tutta la sinistra mainstream tenda a voler spiegare come dovrebbe essere per essere presentabile. Ha ribadito la lotta al mainstream e ha indirizzato i gruppi conservatori verso un percorso di maturazione democratica.

Secondo lei perché nel suo discorso ha citato la Polonia e non Bruxelles?

È del tutto evidente che vi siano due idee di Europa. Il tema non è essere pro o contro l’Europa, il tema è quale tipo di Europa si vuole. Giorgia Meloni ha sempre detto che crede in una federazione di stati sovrani uniti in una visione europeista. Il contrario di quello che vediamo oggi, un super stato che impone agli stati nazionali, ammesso che abbiano ancora sovranità, una politica, un’impostazione obbligata e obbligatoria. Lei rivendica l’Europa delle patrie e una diversa impostazione dal punto di vista valoriale. Alcuni paesi spingono per un tipo di modernità laicista e dall’altra parte altri per una modernità antropologica.

Cos’è la modernità antropologica e qual è la differenza tra le due?

Sono due modernità contrapposte che hanno entrambe legittimazione e legittimità. La seconda, a differenza della prima, si basa sul primato della vita, della famiglia naturale, che combatte la cultura gender e che crede nell’identità storica, culturale e religiosa dei popoli. Sono due visioni della modernità che si stanno contrapponendo in questo momento in Europa. Entrambe legittime. Giorgia Meloni è coerente nel richiamo alla modernità antropologica. Tra l’altro si crea un cortocircuito per cui sovranismo diventa sinonimo di egoismo nazionale, di chiusura e arretratezza. In nome del superstato abbiamo stati, come la Germania e l’Olanda, si comportano da sovranisti perseguendo gli interessi nazionali. Alla fine questo sovranismo sbagliato si afferma sul globalismo. Tanto vale essere sovranisti in modo serio.

Prima dell’intervento da Vox Giorgia Meloni ha osservato un quasi assoluto silenzio. Come lo interpreta?

Non posso che apprezzare questa sobrietà, di solito chi vince si distingue per clamore mediatico. Lei ha vinto e sta dimostrando di essere a capo di una destra affidabile, e sta giocando la sua partita in modo silenzioso. Poi è chiaro che i partiti all’interno stiano giocando le loro carte.

I partiti e i tecnici…

Credo che ci sarà un equilibrio tra la parte politica e quella tecnica. È del tutto evidente che ci sia un’emergenza economica ed energetica che va affrontata in modo serio e responsabile.

Rivolgersi a figure tecniche non può voler dire che “in casa” non si dispone di personalità competenti?

Il problema della classe dirigente adeguata riguarda la destra e la sinistra. Il fatto che si siano tutti affidati a governi tecnici da Draghi a Monti, dimostra che c’è ciclicamente un ricorso agli esperti.  Sappiamo tutti come funziona, i tecnici fanno il lavoro sporco e poi dopo ritorna la politica. Tra l’altro io non credo in questa differenza abissale tra tecnici e politici. Fratelli d’Italia dispone di una classe dirigente esperta a livello di amministrazione regionale, perché ha diversi presidenti regionali, meno a livello di amministrazione nazionale cioè di governo. Però poi se ci mettiamo a stilare queste pagelle non credo che gli altri abbiano i numeri molto migliori. Io credo che la differenza tra tecnici e politici sia molto vaga perché, anche i tecnici nel compiere scelte economiche o amministrative rispondono a una dottrina che può essere liberista, keynesiana. Viceversa un politico deve dare un indirizzo quando chiama un tecnico. Io questa differenza non la vedo. Certamente per il Governo Meloni deve essere prioritario dare un indirizzo politico.

Affidarsi a un tecnico per il ministero dell’Economia non può essere un modo per tranquillizzare Bruxelles?

Questo fa parte delle regole del gioco. C’è una vulgata che dice che se la destra fa la destra il governo cade dopo sei mesi. Invece se si assicura una compartecipazione di personaggi graditi ai poteri forti e a Bruxelles dura di più. Io credo che si vedrà nelle ricette e nelle scelte che si fanno. Ma credo che trovare un equilibrio tra la connotazione identitaria e l’esperienza tecnica sia la scelta giusta. La politica è prassi non è solo identità, credo che Giorgia Meloni stia lavorando su due fronti: l’identitarismo e il pragmatismo. Credo che se riuscirà a trovare un equilibrio tra identità e prassi garantirà Bruxelles e il suo elettorato. Anche se oggi il pericolo più grande per la Meloni non è Bruxelles ma Salvini.

Ci spiega meglio? Perché Salvini è un pericolo per il Governo Meloni?

Perché potrebbe usare un incarico governativo per risalire la china dentro il partito e questo potrebbe essere un elemento di instabilità nell’esecutivo.

C’è il rischio che faccia la parte del guastatore.

Bisogna capire le sue priorità. Se sono il bene comune e il Governo è un conto, se pensa a fare melina, tattica a ricompattare il consenso interno al partito allora è un pericolo. I Governatori del Nord, nell’incontro federale che hanno avuto qualche giorno fa, gli hanno dato un anno di tempo. È evidente che lui stia giocando due partite: una di protagonismo governativo e una di protagonismo partitico dentro al governo. Questo può portare perturbazione a Palazzo Chigi.   

Guardando dall’altro lato dell’emiciclo, la scorsa settimana c’è stata la Direzione del PD. Che immagine arriva da un partito che per 10 ore discute della sua crisi?

Il Partito Democratico è difficile da definire. Potrebbe essere labourista, clintoniano, progressista, socialdemocratico. Io credo che la definizione migliore sia partito radicale di massa, anche sulla base del fatto che abbia privilegiato, in questi ultimi decenni, i diritti civili rispetto a quelli sociali. Tanto che molti lo criticano dicendo che è il partito dei primi e non degli ultimi, dei privilegiati, dei tutelati, dei garantiti. I dati elettorali lo confermano, a votare PD sono stati, in massima parte, dipendenti pubblici o pensionati. Io credo che dovranno fare una grande rivoluzione interna, sono molto bravi a cambiare nome ma la sostanza deve cambiare molto.

Qual è la difficoltà maggiore?

Credo che sarà molto difficile che si ricolleghino ai ceti operai, di lavoratori o disoccupati che nelle ultime elezioni hanno dimostrato di votare a destra. Anche perché manca un elemento federatore nel centrosinistra, come fu Prodi anni fa. E poi anche la federazione deve essere nel nome di un’idea. Ci sono troppe differenze tra grillini, Azione di Calenda e PD. Io ho le mie perplessità sul “Papa straniero” che salva il PD. Credo che, triturato tra Azione e Conte, sia destinato a essere minoritario. Soprattutto se continua con questa logica comunicativa che abbiamo visto in campagna elettorale e che è stata fallimentare: uno schema manicheo che divide il bene dal male, la democrazia e il fascismo.

È stato questo l’errore comunicativo maggiore della campagna elettorale del PD?

È stata la sindrome di Voltaire. Quella che è una malattia storica della sinistra: ritenersi l’incarnazione del bene, della democrazia, del bene e dell’etica. Questo è uno schema che serviva a Letta per ricompattare la sinistra ma poi si è dimostrato insufficiente a vincere. Le faccio un esempio. Nel collegio di Sesto San Giovanni Isabella Rauti ha preso circa il 44% mentre Emanuele Fiano che ha una legittima storia, anche familiare, di antifascismo ha preso il 22%. Questo dimostra che queste tematiche, ancorché importanti sul piano storico, dal punto di vista politico non sono più strumentalizzabili. Il PD deve iniziare a dare pari dignità a tutte le idee.

Invece le sue carte le ha giocate molto bene Giuseppe Conte? Qual è stato il suo asso nella manica?

 Conte è un personaggio che merita uno studio, è un esempio di gattopardismo culturale. Un grande trasformista, erede del trasformismo italiano, dalla liquidità pura. Oppure una persona che fa della tattica, della strategia la sua arma vincente. Devo dire che lui è riuscito a fare un grande recupero, anche se il M5S ha comunque perso metà dei suoi elettori. Io credo che lui stia interpretando la vera sinistra, dando voce a quel populismo identitario che ha caratterizzato il primo grillismo. Anche lo slogan “Dalla parte giusta” evoca questo. Il M5S prese il 30% perché fu votato anche da molti elettori di destra, in queste elezioni Conte ha scelto di puntare ai soli elettori di sinistra. E credo che la battaglia ad essere la vera sinistra, spinga il PD verso posizioni più moderate ma lì c’è già Calenda. È tutto molto complicato, anche trovare un’alleanza in vista delle prossime elezioni regionali.

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