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A che punto è il governo sulla prescrizione

Renzi

I Graffi di Damato

E’, o appare, alquanto prematura la rappresentazione giornalistica, fra titoli e vignette, di un Matteo Renzi spiazzato e di una inedita coppia Alfonso Bonafede-Nicola Zingaretti compiaciuta o addirittura euforica per avere messo nell’angolo l’ex presidente del Consiglio con l’ultima versione del cosiddetto lodo Conte sulla prescrizione. Che verrebbe stoppata, cioè cancellata, alla seconda sentenza di condanna, anziché alla prima senza distinzione fra condanna ed assoluzione, come il ministro della Giustizia è riuscito a mettere nel codice ai tempi della maggioranza gialloverde con decorrenza dal 1° gennaio di quest’anno. Essa è scattata nonostante nel frattempo non sia intervenuta la promessa riforma del processo penale per fissarne la durata nella misura “ragionevole” garantita dall’articolo 111 della Costituzione.

Non sembra obiettivamente in ritirata, o col piede sul freno, o indeciso e timoroso sull’uscio del governo, tentato dall’uscirne e al tempo stesso timoroso di esserne spinto fuori, come lo hanno dipinto in sintonia titolisti e vignettisti del Fatto Quotidiano e del manifesto, il Renzi che ha baldanzosamente dichiarato al Corriere della Sera, con tanto di titolo in prima pagina, che lui resta contrario anche alla nuova edizione del lodo Conte. E ha sfidato gli alleati a “cacciarlo”, piuttosto che concedergli la sospensione della norma in vigore – una sospensione fra un minimo di sei e un massino dodici mesi-  per approvare davvero, non annunciare, una vera e non fumosa riforma del processo penale, a rischio peraltro di illegittimità costituzionale.

D’altronde, ad un giornale abbastanza importante e generalmente bene informato come La Repubblica, con un titolo bene in vista in prima pagina, risulta che a questo punto della commedia degli equivoci che si trascina da tempo sul palcoscenico della prescrizione a “frenare” non sia Renzi ma il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in persona, evidentemente preoccupato che la situazione gli sfugga di mano, visto il peso determinante dei renziani al Senato, e sfoci in una crisi nel bel mezzo della verifica da lui avviata per definire la famosa “agenda 2023”. Che avrebbe dovuto o dovrebbe ancora permettergli di restare a Palazzo Chigi fino all’esaurimento ordinario della legislatura, se non addirittura trasferendolo l’anno prima al Quirinale per subentrare a Sergio Mattarella. Cui pure alcuni attribuiscono, a torto o a ragione, benevolmente o maliziosamente, una certa sensibilità all’ipotesi di una rielezione in Parlamento alla scadenza del mandato settennale.

Le difficoltà di Conte, che lo indurrebbero a frenare nella corsa contro Renzi, anche se sulla Repubblica si sono scordati di raccontarlo chiaramente,  derivano dal fatto che lo scontro con l’ex presidente del Consiglio, e leader adesso di Italia Viva, avviene su un terreno come quello della giustizia, o del garantismo, su cui sarebbe impossibile sostituire nella maggioranza i renziani con dissidenti, “responsabili” e quant’altri di area di centrodestra, come una parte almeno degli inquieti berlusconiani. Con i quali i contatti di Palazzo Chigi, diretti o indiretti, non si sono mai interrotti, dietro la facciata delle smentite che siano mai cominciati, per carità.

L’articolo da I Graffi di Damato

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