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A Montecitorio debuttano i “gilett azzurri”, la nuova opposizione di Berlusconi

Gilet Azzurri

Silvio Berlusconi annuncia per gennaio proteste in tutte le piazze e lancia i gilet azzurri. I graffi di Francesco Damato

Per una volta, proprio nelle ultime battute della brutta partita parlamentare sulla legge di bilancio – giocata violando le regole persino costituzionali con la complicità neppure tanto sofferta dei presidenti di entrambe le Camere, trattenuti un po’ da affinità di parte, come nel caso del pentastellato Roberto Fico a Montecitorio, e un po’ dalla preoccupazione di evitare il ricorso al cosiddetto esercizio provvisorio, come nel caso della forzista Maria Elisabetta Alberti Casellati al Senato- i grillini hanno potuto più divertirsi che imbarazzarsi, più godere che soffrire.

E’ accaduto tutto nell’aula di Montecitorio, prima della votazione di fiducia che con 327 sì e 188 no, e più di cento assenti, ha approvato le 270 pagine e più di mille commi del maxi-emendamento già passato al Senato. E’ accaduto quando i parlamentari di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi, hanno indossato una pettorina azzurra di protesta e, addossati ai banchi del governo, hanno voltato ad esso le spalle.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il vice presidente Luigi Di Maio, il ministro dei rapporti col Parlamento Riccardo Fraccaro, tutti grillini, sono stati ripresi dai teleobiettivi con le facce a dir poco sorridenti. E ne avevano tutte le ragioni, dal loro punto di vista, perché i forzisti voltando loro le spalle e rivolgendosi quindi ai banchi dei deputati in realtà protestavano contro quelli più a portata delle loro braccia e dei loro occhi: i colleghi leghisti. Che per tutto il giorno erano stati attaccati dagli esponenti del partito berlusconiano per avere “tradito” nell’azione di governo i loro elettori di centrodestra.

Contemporaneamente Silvio Berlusconi, ancora ineleggibile al momento dell’elezione delle Camere di questa diciottesima legislatura, accreditava dai suoi uffici e residenze la protesta pettorale dei suoi deputati come un antipasto di quello che accadrà nell’incipiente anno nuovo sulle piazze: si deve presumere come antipasto o pietanza unica delle campagne elettorali per il rinnovo non solo della rappresentanza italiana al Parlamento Europeo, ma anche di un bel po’ di amministrazioni regionali. Alle quali ultime però forzisti e leghisti parteciperanno insieme, da alleati, con candidati a governatori già concordati o in via di perfezionamento con incontri al vertice dei due partiti, e dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, per niente clandestini.

Pertanto lo spettacolo improvvisato nell’aula di Montecitorio dai forzisti emuli, con quei pettorali azzurri, dei francesi in gilet gialli a Parigi e altrove nelle settimane scorse, ha potuto mettere di buon umore i grillini. Fra i quali la convivenza al governo con la Lega di Matteo Salvini è stata vissuta da maggio con crescente disagio e preoccupazione un po’ per i perduranti legami personali epolitici dello stesso Salvini con quel demonio che rimane nell’immaginario grillino il fondatore di Forza Italia ed ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, e un po’ per la capacità costantemente dimostrata dal capo del Carroccio di tenere la scena. E persino di apparire l’azionista non di minoranza della combinazione governativa gialloverde, in base ai risultati elettorali del 4 marzo scorso, ma di maggioranza in base ai sondaggi e, ripeto, all’attivismo del leader lombardo. Che, fra l’altro, a furia di andare in giro indossando felpe e altro della Polizia o di altri corpi sottoposti alla giurisdizione del Viminale finirà per avere la pretesa, ironicamente attribuitagli da Altan sulla prima pagina della Repubblica di carta, di presentarsi prima o poi al Quirinale come un corazziere, Tanto, il fisico ce l’ha.

Difficoltà, contraddizioni, tensioni e quant’altro nel centrodestra, nella speranza o illusione che possano tradursi in un danno per Salvini, sono unguento sulle ferite procurate al corpaccione grillino dalle obiettive e crescenti difficoltà di tradurre in buona e concreta azione di governo uno stellare e perciò velleitario programma di “cambiamento” o addirittura di rivoluzione. “Rivolteremo questo Paese come un guanto”, ha appena promesso il presidente del Consiglio nella conferenza stampa di fine anno emulando il “calzino” evocato nel 1992 dai magistrati milanesi di “Mani pulite”, impegnati nella demolizione della cosiddetta prima Repubblica.

Il programma grillino partendo dalla eliminazione o sconfitta della povertà, addirittura annunciata dal balcone di Palazzo Chigi dal vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio in una notte di tre mesi fa come cosa ormai avvenuta, si è tradotto nella liquidazione come avari -col richiamo del presidente del Consiglio a Moliere- dei pensionati a soli 1500 euro e rotti al mese che protestano per la ridotta indicizzazione dei loro assegni decisa con la legge di bilancio. Avari, si deve presumere, come quelli che percepiscono pensioni sopra i 500 mila euro lordi annui e stanno lamentandosi, nelle loro case o negli alti uffici che ancora frequentano, per il prelievo quinquennale di “solidarietà” del 40 per cento sulla parte eccedente. E questo 40 per cento è stato sbandierato da Di Maio come un trofeo per far credere agli italiani di avere stramazzato non 23, quanto sono in Italia i pensionati sopra i 500 mila euro, ma centinaia, migliaia, centinaia di migliaia di odiosi “parassiti” o “profittatori”, come lui liquida di solito quelli di cui semplicemente non condivide pensioni, stipendi, posti e qualifiche, secondo le circostanze e gli umori dei suoi elettori.

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