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Aiutiamo Elisabetta Trenta a superare certi luoghi comuni
Intervistata da La7 Elisabetta Trenta ha spiegato che il dialetto siciliano la fa pensare alla mafia. Da un Ministro della Repubblica ci sarebbe aspettati ben altro, ma vogliamo aiutarla a superare certi luoghi comuni
A cosa pensa il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta, già ufficiale della riserva selezionata dell’Esercito Italiano, quando sente parlare in Siciliano? Alla mafia. A spiegarlo è stata la stessa Trenta, rispondendo ad una intervista durante la trasmissione di La7 In Onda. Si parlava della scomparsa di Andrea Camilleri. “Mi piaceva moltissimo – ha spiegato il Ministro – lo seguivo più in tv che sui libri. Ha cambiato la mia idea della lingua siciliana. Prima la associavo molto ai fatti di mafia. Quindi quando sentivo il siciliano per me era mafia”. Adesso, grazie ai romanzi con protagonista Montalbano, associa il siciliano alla legalità.
LA LINGUA DI SCIASCIA, TOMMASI DI LAMPEDUSA E PIRANDELLO
Quindi una lingua come il Siciliano, che qualcuno meno attento alle cose della politica e della cronaca del Ministro Trenta, potrebbe associare a Sciascia, Tommasi di Lampedusa, Pirandello o Vittorini, nella testa del nostro Ministro della Difesa, già ufficiale della riserva selezionata dell’Esercito Italiano, fa immediatamente diventare 5 milioni di siciliani tutti come Matteo Messina Denaro. O forse come Tano Carridi, visto che avendo la Trenta conosciuto Camilleri “più in televisione che sui libri”, forse la sua conoscenza della mafia viene più dallo sceneggiato Rai “La piovra” che dagli studi.
I LUOGHI COMUNI SULLA SICILIA
Si dirà: sempre di luoghi comuni si parla. La Sicilia dei mafiosi o quella dei letterati? Il Capitano Bellodi o don Mariano Arena (personaggi de “Il giorno della Civetta”)? La verità è complessa, ma non così complicata: la Sicilia è l’uno e l’altro. O meglio, non è nessuno dei due, perché uno dei grandi problemi dei luoghi comuni è che semplificano, semplificano all’ennesima potenza, fino ad artefare.
Però sono comodi, i luoghi comuni, per un politico. Lo sono perché impegnati in mille interviste e 100 dichiarazioni, stretti tra le battute di un Tweet e un post Facebook, non si ha troppo tempo per elaborare idee e progetti, per studiare dati ed immaginare soluzioni, così ci si rifugia nelle frasi fatti. Siciliano uguale mafia. Italiano uguale pizza spaghetti e non finire mai una guerra dalla parta dalla quale la si è iniziata.
ALTRI ESEMPI SICILIANI
Vorremmo però dare una mano ad Elisabetta Trenta. Se è bastato un personaggio letterario (pur di grande successo) a farle cambiare idea sulla Sicilia, le saranno sicuramente utili i tanti esempi di uomini e donne di Sicilia che avrebbero dovuto farle cambiare idea molto prima. Senza tornare troppo indietro nella storia, senza scomodare Archimede di Siracusa e cercando tra gli uomini in divisa, che forse riescono a conquistare l’immaginario del Ministro della Difesa: Boris Giuliano, leggendario capo della Squadra Mobile di Palermo (la squadra dei giusti, la chiamavano), temuto dai mafiosi perché sapeva sparare come un cow-boy, ammazzato da Cosa Nostra. Il Catanese Giovanni Lizzio, ammazzato quando era a capo del Nucleo Anti Racket nella sua Catania. Natale Mondo, di Palermo, ammazzato insieme al Giudice Nini Cassarà. E poi Vincenzo Madonia e Giuseppe Cangialosi, siciliani eroi della I Guerra Mondiale. Luigi Rizzo, di Milazzo, leggendario Conte di Grado e Premuda. Uno dei più grandi comandanti della marineria italiana.
Insomma, prima di Montalbano non sarebbero dovuti mancare gli esempi e le storie per rompere il circolo vizioso del luogocomunismo. Ma in realtà il punto non è nemmeno questo. Il punto è che dal Ministro della Difesa della Repubblica Italiana, già capitano della riserva selezionata dell’Esercito, ci si aspetta altro: ci si aspettano idee e progetti, visione e capacità di programmare. Cose un pò più complicate del binomio facilotto siciliano – mafia.