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Bacioni fra Salvini e Meloni?

Presidenzialismo

Quei due — Salvini e Meloni — più si abbracciano e meno convincono. I Graffi di Damato

Quei due –Matteo Salvini e Giorgia Meloni, il “capitano” della Lega e la sorella neppure maggiore dei fratelli d’Italia liberatisi di Gianfranco Fini– più si abbracciano in piazza, per strada e davanti ai fotografi e meno convincono, dopo tutti i calci che si sono sferrati, e neppure sotto il tavolo: l’uno al governo, con tanto di ministri e sottosegretari, e l’altra all’opposizione, e contemporaneamente concorrenti in una stessa combinazione elettorale a un sorpasso che dovrebbe legittimare uno di loro alla carica di presidente del Consiglio nel caso, ormai non più scontato, di un successo quando saranno rinnovate le Camere. Più credibili delle foto romane che li hanno ripresi avvinghiati mi è sembrata la vignetta sfottente di Stefano Rolli, da “ultimo tango a Spinaceto”, sul Secolo XIX.

Della coalizione di cui i due si contendono, tra abbracci e sgambetti, la cosiddetta leadership dopo avere strappato negli anni scorsi al fondatore Silvio Berlusconi l’impegno di rimetterne la scelta direttamente agli elettori, in base ai voti portati a casa dai vari partiti, non è più certo neppure il nome. O la scrittura, come preferite. Noi continuiamo a chiamarla centrodestra, come il fondatore fece presentandola al pubblico una trentina d’anni fa tra le macerie della cosiddetta prima Repubblica, ma Berlusconi nel frattempo ha cominciato a scriverne, quanto meno, in modo diverso, mettendo un trattino tra centro e destra negli articoli che manda con frequenza crescente al Giornale di famiglia. Il centro insomma vuole prendere le distanze dalla destra, come si faceva nella Dc ai primi tempi delle trattative e dell’alleanza con i socialisti, mettendo o togliendo il trattino nel centrosinistra secondo le circostanze e le convenienze.

Se il trattino rispolverato potrà o dovrà servire a Berlusconi per rivendicare un giorno Palazzo Chigi, come elemento numericamente, oltre che idealmente, determinante dell’alleanza, non si può francamente dire adesso. Lo si può solo immaginare col permesso, naturalmente, dell’anagrafe. Che per Berlusconi, a 85 anni pur felicemente e appena compiuti, non è francamente vantaggiosa, aggravata dalla circostanza rimproveratagli dal pur amico Antonio Martino di non avere praticamente coltivato una successione dentro Forza Italia.

Va detto comunque per onestà, a chiusura di una campagna per il voto prevalentemente amministrativo di domani, cui sono interessati sulla carta più di 12 milioni di elettori, che il centrodestra del trattino o non trattino non è il solo a soffrire, peraltro in condizioni peggiorate dalle solite incursioni giudiziarie: dal caso Morisi per la Lega ai presunti finanziamenti neri, in tutti i sensi, appena contestati alla destra meloniana.

Il centrosinistra -senza il trattino per concorde linguaggio o scrittura sia di Enrico Letta come segretario del Pd sia di Giuseppe Conte come nuovo presidente del MoVimento 5 Stelle- in molte delle città in cui si sta per votare, e nelle regionali calabresi, neppure esiste. A Roma, poi, come ha impietosamente segnalato il manifesto, a Beppe Grillo è bastato un collegamento telefonico per seppellire con una risata sia la velleità dell’amica Virginia Raggi, consolata ancor prima di perdere, sia l’ambiguità di Conte. Che in uno strappo consentitogli dal segretario del Pd ha cercato di far cedere di volere davvero la rielezione della sindaca uscente contro il candidato piddino Roberto Gualtieri, e gli altri naturalmente.

 

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