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Le parole di Bonaccini sugli scontri nel M5S e le ripercussioni sul governo

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Pur con tutti gli apprezzamenti che merita la severità di Bonaccini, sarebbe auspicabile una ulteriore dose di franchezza verso la crisi del Movimento 5 Stelle

Finalmente ho trovato un politico partecipe in qualche modo dell’area giallorossa dalle sue postazioni di governatore dell’Emilia Romagna e di presidente della Conferenza Stato-Regioni, che ha avuto il coraggio di dire davvero come stanno le cose. Parlo naturalmente di Stefano Bonaccini. Il quale, intervistato da Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera sui condizionamenti, ritardi e quant’altro che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte subisce per la crisi interna del movimento che lo portò a Palazzo Chigi nel 2018, e ne impose la conferma l’anno dopo al Pd subentrato alla Lega di Matteo Salvini, ha detto testualmente: “Ho il massimo rispetto per le fibrillazioni di tutti, ma siamo qui per risolvere i problemi del Paese, non delle singole forze politiche”.

L’Italia insomma, e non solo il Pd, pur rinfrancato dal fatto di avere perduto nell’ultima tornata elettorale “solo” la regione Marche, e non anche la Puglia e la Toscana, non può rimanere appesa all’albero ormai spelacchiato di Beppe Grillo e amici, o soci. Altri due anni e mezzo così, quanti ne mancano all’incirca all’epilogo ordinario della legislatura, non li può reggere nessuno, seppure bene assistito in quella specie di reparto di rianimazione che è diventato il Quirinale per Conte: “il doroteo della post politica”, lo ha appena definito sulla Stampa Massimiliano Panarari. Doroteo nella Dc era diventato sinonimo di opportunista.

Pur con tutti gli apprezzamenti che merita la severità di Bonaccini, e la paura che ne dovrebbero avere sotto le cinque stelle come possibile concorrente, prima o poi, del più paziente o indeciso Nicola Zingaretti alla guida del Pd, sarebbe forse auspicabile una ulteriore dose di franchezza per chiamare come merita davvero la crisi cosiddetta identitaria del movimento grillino.

Gregorio De Falco, il capitano di fregata noto per la sfuriata contro il comandante della nave Concordia Francesco Stecchino naufragata nel 2012 all’isola del Giglio, ha conosciuto bene da senatore il movimento grillino. Della cui “morte lenta, lentissima” ha appena parlato al Corriere dicendo che il Paese è diventato “ostaggio di questa agonia”.

D’accordo, può esserci del risentimento nelle parole del parlamentare espulso per indisciplina dal quasi partito di Grillo. Ma sentite come lo ha appena descritto addirittura con compiacimento il pentastellato presidente dell’Antimafia Nicola Morra, insegnante consapevole -credo- del significato delle parole che usa: “Il movimento 5 Stelle è un qualcosa di liquido, che dinamicamente deve evolvere senza snaturarsi”. Qualcosa di liquido, o persino di gassoso, da cui pure partono esibizioni di forza e minacce come quelle del capogruppo della Camera Davide Crippa. Che ha appena ricordato sul Corriere della Sera che “qualsiasi cosa si voglia fare, si deve passare da noi”. E al presidente del Consiglio espostosi ad accennare a restrizioni necessarie anche al cosiddetto e abusato reddito di cittadinanza ha risposto: “Conte sa benissimo che il Movimento è la forza più leale che ha in Parlamento e che non può prescindere da noi”.

L’agonizzante, insomma, per restare all’immagine di De Falco, alterna rantoli, sfide e minacce, in uno spettacolo a dir poco anacronistico, per non parlare della “guerra fra bande” lamentata dal presidente grillino della Camera Roberto Fico parlando degli imminenti Stati Generali del movimento, o “generici”, come ha dovuto ammettere il solitamente adorante direttore del Fatto Quotidiano.

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