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Cosa succede alla Camera tra risse e miracoli

Camera

I graffi di Damato

Pur in forma ridotta, anzi ridottissima, e in un clima non di festa ma di rissa, con i commessi impegnati a contenere gli smaniosi di darsele e non solo di dirsele di tutti i colori, si è assistito alla Camera al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci raccontato dai vangeli. I presenti alla votazione su una risoluzione riveduta e corretta della risoluzione sul documento di economia e finanza bocciata il giorno prima per le assenze sono passati da 319 a 337, sempre una sessantina in meno del pieno, i sì da 195 a 221, venti in più del minimo necessario, i voti contrari da 19 a 116, essendo gli astenuti scesi da 105 a zero.

La maggioranza si è scusata in aula con vari interventi per la sciatteria, a dir poco, del giorno prima: scusata, in verità, più che con gli italiani, distratti dal ponte del primo maggio come tanti parlamentari, con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Le cui urla di protesta levatesi dalla lontana Londra, ora per giunta fuori dall’Unione Europea, si sono sentite anche a Roma. Dove non è detto che, a incidente pur rientrato, non si abbiano nei prossimi giorni effetti di qualche significato, anticipati dal resto dalle polemiche esplose un pò in tutti i gruppi parlamentari della coalizione di governo per il modo in cui sono diretti e organizzati, si fa per dire.

Un altro miracolo verificatosi dopo la scivolata, la figuraccia, l’incidente del giovedì subito chiamato “nero”, come le giornate negative delle Borse, è stato quello dei tempi. Della capacità, cioè, di correre che si riesce a trovare, pur fra i lacci del cosiddetto bicameralismo, quando se se ne hanno le occasioni e la voglia. In un solo giorno, restituendo peraltro agli interessati almeno un pò del ponte del primo maggio compromesso dagli imprevisti, la risoluzione aggiornata sul documento di economia e finanza è stata approvata tanto dalla Camera quanto dal Senato. Come accadde il lontano, lontanissimo 16 marzo del 1978 per la discussione e il voto di fiducia ad un rinnovato governo monocolore democristiano di Giulio Andreotti negoziato con i comunisti per ottenerne il completo appoggio esterno, e non più la sola, striminzita astensione. La cui sofferenza era stata immortalata da Giorgio Forattini su Repubblica in una vignetta su Enrico Berlinguer in vestaglia con i capelli dritti dallo sconcerto e della paura per le grida dei metalmeccanici che sfilavano sotto la finestra di casa per protestare contro il governo non osteggiato dal Pci.

A smuovere le Camere, e a fare rientrare gli ultimi mal di pancia nel partito comunista per la conferma di qualche ministro sgradito, soprattutto Carlo Donat-Cattin, fu allora il tragico sequestro brigata di Aldo Moro. Adesso sono bastate per fortuna le proteste della Meloni contro i “tafazzi” che le avevano rovinato da Roma la festa inglese per una economia italiana che “va bene”, nonostante tutto, come da titolo odierno costruito con le parole della premier in prima pagina dal Corriere della Sera.

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