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Mario Esposito su caso Almasri

“Caso Almasri: la vera assente è la responsabilità politica”. Parla il prof. Esposito (Luiss)

Il Caso Almasri ha avuto uno strascico importante: la Premier Meloni, insieme al ministro della Giustizia Nordio, il ministro degli Interni Piantedosi e il sottosegretario Mantovani, è stata denunciata per i reati di favoreggiamento e peculato in relazione alla vicenda del rimpatrio del capo della polizia giudiziaria libica Almasri.  Ne abbiamo parlato con il prof. Mario Esposito, costituzionalista dell’Università Luiss

Il caso Almasri, l’espulsione del capo della polizia giudiziaria libica accusato di crimini contro l’umanità, ha riacceso lo scontro tra politica e magistratura. La Premier Meloni, in un video pubblicato sui suoi profili social, ha annunciato di aver ricevuto dal Procuratore Lo Voi un’informazione di garanzia per “i reati di favoreggiamento e peculato in relazione alla vicenda del rimpatrio del cittadino libico Almasri”. A spiccare la denuncia l’avvocato Li Gotti, sottosegretario alla Giustizia dal 18 maggio del 2006 (Governo Prodi) ma in precedenza Segretario di federazione dell’MSI.

Insieme alla Premier sono stati raggiunti da un avviso di garanzia il ministro dell’interno Matteo Piantedosi, il ministro della giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario Alfredo Mantovano.

Abbiamo cercato di fare chiarezza sulla vicenda con il prof. Mario Esposito, costituzionalista e docente dell’Università Luiss

La comunicazione che ha ricevuto la Premier Meloni è un avviso di garanzia?

No, il Pocuratore le ha trasmesso una “comunicazione a soggetti interessati”. Sono due comunicazioni con finalità garantista, sottolineiamolo. Inoltre, l’avviso di garanzia arriva nel momento in cui c’è un’indagine a carico di chi lo riceve, la comunicazione che ha raggiunto la Premier la informa del fatto che il Procuratore ha proceduto a trasmettere una denuncia, un referto, un rapporto, che ipotizza reati ministeriali a suo carico. Quindi l’indagine non è ancora in corso.

Passiamo poi alla seconda questione della quale si sta discutendo. La trasmissione degli atti al Tribunale dei ministri da parte del Procuratore Lo Voi era un atto dovuto?

Facciamo una premessa, la legge costituzionale dell’89, la numero 1 che introdusse la nuova disciplina dei reati ministeriali non è felicissima. L’articolo sei sancisce che le denunce che concernono reati ministeriali devono essere presentate alla Procuratore della Repubblica del Tribunale del capoluogo competente per territorio. Allora quel Procuratore che deve fare? La legge stabilisce che “omessa ogni indagine, entro 15 giorni trasmette gli atti al Collegio” cioè al Tribunale dei ministri. Però dice anche: “trasmette con le sue richieste”.

Quali sono i suoi dubbi?

La norma dice “omessa ogni indagine”, quindi il giudice non ha competenze valutative. Ma poi aggiunge che può trasmettere le “sue richieste”. Quindi, se può fare delle richieste vuol dire che il Procuratore ha valutato che vi fosse ragione di trasmetterla. Altrimenti il Procuratore dovrebbe trasmettere qualunque denuncia, anche la più peregrina. Mi pare poco chiara. Poi mi chiedo a cosa serva il termine dei 15 giorni se è una mera trasmissione di atti. Aggiungo che la norma stabilisce che una volta che interviene il Tribunale dei ministri, quindi il collegio competente, questo ha 90 giorni per compiere le indagini preliminari e sentire il pubblico ministero, il quale può chiedere ulteriori indagini. Mi sembra, quindi, che ci sia un’ambiguità nel dettato normativo.

Passiamo dal campo strettamente normativo a quello politico.

A dire il vero in questa vicenda non vedo molto spazio per la politica.

Cosa intende?

Intendo che, a partire dal caso dell’espulsione di Almasri, mi sembra una disputa fatta con armi giudiziarie, anche dalla parte del Governo. Mi sembra buffo, come scrive Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, che il governo non abbia deciso di porre il segreto di Stato e abbia preferito, invece, utilizzare un percorso procedurale. Certi tipi di relazioni non si possono gestire con gli strumenti giurisdizionali. Purtroppo, le relazioni internazionali sono relazioni tipo negoziale, per cui qualcosa bisogna rimetterci. È la politica internazionale, funziona così.

Facciamo un passo indietro sul caso Almasri. La Corte Penale Internazionale spicca un mandato di arresto nei confronti di Almasri quando questi è nel nostro paese ma già da diversi giorni era sul territorio europeo (Italia, Regno Unito, Belgio, Germania) in paesi che riconoscono l’autorità della CPI. È usuale?

Qui il problema è proprio della Corte penale internazionale. Purtroppo, questi tribunali internazionali non riescono, anche per loro natura, a essere rigorosi dal punto di vista giuridico. Del resto, non è che nella storia abbiano dato prove eccezionali. Stando sul caso Almasri, io mi chiedo cosa sia successo nei 10 -15 giorni in cui ha girato liberamente in Europa. Ha commesso qualche atto e a quel punto è diventato fondato il sospetto? Non mi pare. Allora il sospetto c’era già prima. Quindi un sospetto di parzialità viene. La CPI ha aspettato che arrivasse in Italia? Forse per mettere in difficoltà l’Italia nei rapporti con la Libia? Forse perché siamo uno dei paesi che è più esposto alla delicatezza delle relazioni con i paesi dell’Africa mediterranea? E forse sì. E questo non è complottismo, è una questione tecnica. Cioè non credo che questo signore abbia commesso i più gravi reati in quei 10 o 15 giorni.

Torniamo al dato politico. Lei mi stava dicendo che il ministro della Giustizia avrebbe potuto porre la ragion di Stato per l’espulsione di Almasri, capo della polizia giudiziaria libica, invece che lasciar scadere i termini del fermo, cosa che l’ha fatto scarcerare.

Avrebbe potuto gestire la vicenda opponendo il segreto di Stato, cioè ricorrendo all’uso di quegli strumenti che consentono al Governo di gestire la questione opponendo una diminuita o nulla conoscibilità di certi atti, perché è legato a ragioni di politica internazionale per le quali non si possono seguire le vie ordinarie. Gli interessi legati alla sicurezza nazionale sono incomprimibili. Probabilmente bisognava ricorrere a questo tipo di procedure. Forse c’è stato un eccesso di buona fede.

Cosa sarebbe cambiato se il governo avesse seguito la strada della tutela della sicurezza nazionale?

A quel punto il discorso sarebbe diventato tutto politico. Il Governo ne avrebbe assunto la responsabilità politica. Mi sembra paradossale che le giustificazioni governative siano in termini giudiziari e non politici.  Se fosse stato gestito diversamente, alla denuncia fatta dall’avvocato Li Gotti, il Governo si sarebbe potuto opporre dicendo di aver seguito le procedure che sono proprie della sicurezza nazionale. Altrimenti la politica accetta di portare il contraddittorio nelle aule di giustizia, sovraccaricandole di compiti che non hanno e che forse non vogliono neanche avere.

Quale sarà, ora, il percorso delle denunce arrivate al Tribunale dei ministri?

Se il tribunale, dopo le indagini preliminari per le quali ha 90 giorni, ne dispone l’archiviazione, cosa molto probabile, il procedimento non va avanti. Altrimenti se ritiene di procedere, se riscontra il fumus di fondatezza, a quel punto scatta la richiesta di autorizzazione a procedere e deve investire la Camera di competenza.

Secondo lei, in questo caso, siamo davanti a un nuovo scontro tra politica e magistratura?

Il clima è teso, anche in questo periodo in cui si discute della riforma della magistratura e della separazione delle carriere dei magistrati. Del resto, quando un potere mette le mani su un altro è chiaro che si crei animosità. Però, francamente, questa vicenda non mi sembra, che sia un sintomo dello scontro. Certamente possiamo dire che siamo in un paese in cui troppi scontri politici finiscono per essere poi scaricati sulla magistratura. È come se si perdesse un po’ la cultura della responsabilità politica. Ci sono alcune responsabilità che non si possono lasciare alla magistratura. Il conflitto andava tenuto a livello politico.

Leggi anche: Chi sono Francesco Lo Voi e Luigi Li Gotti

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