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Che cosa dirà Conte a Trump

Dpcm

La lettera immaginaria di Conte a Trump sull’uccisione del vice brigadiere dei Carabinieri Cerciello Rega. I Graffi di Damato

Sono probabilmente fra i molti, anzi moltissimi italiani — non dico tutti perché questi non sono tempi di tanta ragionevolezza — che si sarebbero aspettati e si aspetterebbero questo tipo di lettera del presidente del Consiglio al presidente degli Stati Uniti, con la confidenza permessagli da quel pur storpiato Giuseppi che gli dà negli incontri e gli ripete anche al telefono, quando le circostanze li obbligano a sentirsi. Ed una di queste, peraltro, potrebbe ben essere l’orrendo crimine appena commesso da un giovane americano persino confesso, con la complicità di un  connazionale, uccidendo il vice brigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega con 11 coltellate in una strada romana trasformata o scambiata per un mattatoio.

LA MISSIVA IMMAGINARIA DI CONTE A TRUMP

“Caro Donald, mi permetto di disturbare le tue vacanze, se vi ci trovi già, e come io non posso ancora permettermi di fare con tutti i problemi che mi procurano i miei ministri, o che io procuro loro, perché ce ne sono di convinti che sia io appunto a metterli in croce con la smania che mi sarebbe venuta all’improvviso di esercitare le prerogative assegnatemi dalla Costituzione col sospetto incoraggiamento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che ti pregherei peraltro di non chiamare più confidenzialmente, come hai fatto di recente, Sergey, perché quello pensa che tu lo voglia sfottere coinvolgendolo nelle simpatie del mio vice presidente e ministro dell’Interno Matteo Salvini per il governo russo.

Ti disturbo — dicevo — per l’eco che hanno avuto non solo e non tanto sui giornali e altri mezzi americani di comunicazione, di cui mi guarderei bene di considerarti responsabile, visto il modo in cui trattano pure te, anche quando forse non lo meriti del tutto, quanto nel Dipartimento di Stato per gli affari esteri le notizie giunte dall’Italia sul barbaro assassinio del vice brigadiere dei Carabinieri. Sul cui feretro ho appoggiato le mie mani con dolore e insieme con orgoglio per l’adempimento del suo dovere a così alto prezzo, inversamente proporzionale a quello che egli percepiva, al pari dei suoi colleghi, come stipendio.

Il tuo Dipartimento di Stato per gli affari esteri, caro Donald, pur tenuto, per carità, a condividere l’assistenza fornita dall’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia ai due cittadini americani responsabili, in vario grado, di pur così orribile delitto, ha espresso riserve da sciogliere non so quando e in che modo sulle indagini della magistratura italiana. La cui regolarità era stata appena garantita dal competente Procuratore Generale della Corte d’Appello, pur in presenza di un trattamento non ortodosso, diciamo così, riservato prima dell’interrogatorio al tuo giovane connazionale che ha condiviso almeno una parte dell’avventura di un omicida, ripeto, confesso.

Mi aspetto, caro Donald, dal tuo governo e da te personalmente, se mi permetti con la confidenza che hai voluto accordarmi sin dal nostro primo incontro, non riserve o qualcosa  di simile ma le scuse  per una così orribile prova data da due cittadini provvisti di passaporto americano, peraltro in un Paese amico come l’Italia. Essi sono in attesa di giudizio per l’entità della condanna ma non per quello che hanno sicuramente commesso, molto più grave di quelle manette e di quella benda con cui uno di loro è stato trattenuto e incredibilmente pure fotografato prima dell’interrogatorio, fra le proteste cui ho partecipato anch’io e cui sono già seguite misure e procedure disciplinari.

Cerchiamo, caro Donald, di ristabilire almeno le proporzioni dei fatti accaduti, come dalle rassegne stampa vedo peraltro che hanno avvertito e avvertono alcuni dei lettori degli stessi giornali che hanno deciso di sovrapporre al delitto quelle manette e quella benda, come se l’interessato fosse in attesa dell’esecuzione di quella pena capitale che tu hai appena inverdito nel tuo Paese,  chiudendo così una moratoria che personalmente, per quello che può valere per te la mia sensibilità umana e professionale di docente di diritto e di avvocato, speravo anticipatrice di una riforma del sistema giudiziario degli Stati Uniti d’America.

Un caro saluto dal tuo amico Giuseppe Conte”.

Il compianto Luigi Einaudi definiva le sue “prediche inutili”. Questa lettera di Conte, da Palazzo Chigi, prima ancora che inutile, è purtroppo soltanto immaginaria.

 

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