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Che cosa faranno Renzi e i renziani dopo la vittoria di Zingaretti?

I graffi di Damato sulle evoluzioni del Pd dopo la vittoria di Zingaretti alle primarie di ieri

Nicola Zingaretti ha dunque vinto alla grande le primarie arrivando alla segreteria del Pd col quasi 70 per cento del milione e ottocentomila voti espressi nei settemila seggi allestiti in tutta Italia, tra gazebo e locali interni. E’ stata un’affluenza ben superiore a quella contenuta entro il milione negli auspici, evidentemente scaramantici, dallo stesso Zingaretti. E che forse Matteo Renzi, votando di prima mattina nella sua Firenze, aveva ritenuto troppo ottimistica con quella dichiarazione pur di apprezzamento per le primarie, cui il suo partito era tornato a ricorrere “per coinvolgere migliaia di persone -aveva detto- nella scelta del suo leader”.

AFFLUENZA SUPERIORE ALLE ASPETTATIVE

La notevole affluenza alle urne e il forte distacco di Zingaretti dai concorrenti Maurizio Martina e Roberto Giachetti, fermatisi rispettivamente a circa il 19 e il 12 per cento dei voti pescando proprio nell’area riconducibile al due volte ex segretario del partito, nonché presidente del Consiglio per quasi tre anni, dovrebbero scoraggiare Renzi dalle tentazioni scissionistiche attribuitegli a torto o a ragione da critici, avversari e forse anche amici nella campagna congressuale. Alla quale “il senatore di Scandicci”, come lui suole spesso autodefinirsi, aveva partecipato in modo tutto suo, un pò evitando di schierarsi esplicitamente con qualcuno dei tre candidati in corso, neppure per il renziano radicale -in tutti i sensi- Giachetti, e un po’ dedicandosi anima e corpo al lancio, in tutta Italia, del suo nuovo libro dal significativo titolo “Un’altra strada”.

ZINGARETTI VS RENZI

Va detto, in verità, che proprio Zingaretti, peraltro felice di avere ricevuto quello di Renzi fra i primi messaggi di congratulazioni e di augurio per l’ormai avvenuta elezione, ha voluto smontare la carica potenzialmente critica del titolo del libro scritto dall’ex segretario. “Me lo ha fregato”, ha detto il governatore del Lazio ribadendo il suo programma di cambiare strada, appunto, come nuovo segretario del partito. Ma non tanto -si deve presumere- da capovolgere o invertire il senso di marcia e le scelte principali adottate al Nazareno dopo le elezioni politiche dell’anno scorso.

Non è stata certamente casuale la decisione presa da Zingaretti proprio verso la conclusione della campagna delle primarie, rispondendo in una intervista televisiva a Lucia Annunziata, di indicare una sola prospettiva in caso di caduta del governo gialloverde di Giuseppe Conte: il ricorso anticipato alle urne, pur di competenza costituzionalmente esclusiva -come si sa- del presidente della Repubblica. Elezioni anticipate, quindi, piuttosto che una mano ai grillini per sottrarli all’alleanza con i leghisti offrendosi a sostituirli. Che sarebbe, d’altronde, una prospettiva poco realistica, specie al Senato, dove Renzi e gli amici più stretti avrebbero i numeri più che sufficienti per far mancare da soli ad una simile operazione la maggioranza già troppo risicata di suo.

RENZI NEL PD, DENTRO O FUORI?

In realtà, l’alternativa delle elezioni anticipate in caso di crisi può ben essere considerata il prezzo più evidente pagato da Zingaretti al suo predecessore per pescare anche lui voti nella sua area già divisa fra Martina e Giachetti, e per non dargli ragioni o pretesti di rottura e di uscita dal partito.

Eppure Federico Geremicca, che conosce bene il Pd e le sue precedenti edizioni per ragioni anche familiari, essendo stato il padre un noto e autorevole esponente del Pci, particolarmente amico di Giorgio Napolitano, ha raccolto nel suo commento su La Stampa umori non proprio buoni verso Renzi nell’area del vincitore delle primarie. In particolare, egli ha avvertito “la speranza” di “qualcuno degli uomini più vicini a Zingaretti” che nel nuovo corso appena apertosi con la sua elezione a segretario si possano creare -letteralmente- “le condizioni perché Renzi lasci il Pd, ma senza traumi”. Il che potrebbe accadere forse andandosene solitariamente e allegramente in moto, come il senatore ha fatto arrivando al seggio fiorentino delle primarie, e non con un torpedone di dissidenti, o con una ruspa fattasi prestare dal “Matteo sbagliato”, come Renzi chiama Salvini. Che intanto, bontà sua, ha sentito il bisogno di rivolgere dal Viminale pensieri e parole “di rispetto” per il nuovo leader del partito cui lui si sente più contrapposto. E che continua a considerare in declino inarrestabile, nonostante l’affluenza alle primarie e i segni di vita, almeno, se non di risveglio, colti di recente nelle elezioni regionali d’Abruzzo e di Sardegna. Cui seguiranno in questo mese quelle in Basilicata, e a fine maggio quelle piemontesi e soprattutto europee: un test nazionale di tutto riguardo.

 

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