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Che cosa mormorano i giornali di centrodestra su Gianni Letta

Quirinale

I Graffi di Francesco Damato

Più Silvio Berlusconi rimane in gara per la successione a Sergio Mattarella, pur dietro la cortina di una riserva ancora da sciogliere, più lo scenario del Quirinale si restringe a due figure: lo stesso Mattarella per una conferma, a dispetto della sua insistita indisponibilità, e Mario Draghi per la prima promozione diretta, nella storia dell’Italia repubblicana, di un presidente del Consiglio a capo dello Stato.

Questa realtà è stata ben avvertita proprio nel centrodestra da Matteo Salvini quando ha commentato il no di Enrico Letta, col consenso unanime della direzione e dei gruppi parlamentari del Pd, alla candidatura troppo “divisiva” di Berlusconi e la proposta di una trattativa fra tutti i partiti per un patto di fine legislatura, senza elezioni anticipate e con una soluzione concordata sia per il Quirinale sia per Palazzo Chigi. “Non tiriamo la giacca né a Mattarella né a Draghi”, ha risposto il capo della Lega e per il momento anche della coalizione inventata dallo stesso Berlusconi, il cui partito è stato però sorpassato dalla Lega nelle elezioni del 2018.

Di questo inevitabile sviluppo della corsa al Quirinale si è reso conto anche Ignazio La Russa, per conto della destra capeggiata da Giorgia Meloni, dichiarando al Corriere della Sera: “L’ipotesi di un’elezione di Draghi non è migliore o peggiore delle altre. Da parte nostra non c’è un veto sulla sua candidatura”. Sembra rimanere invece il veto più volte espresso dalla Meloni in persona contro una conferma di Mattarella.

In fondo, che le cose vadano o possano andare in direzione di Draghi al Quirinale, nonostante l’inesauribile Vittorio Sgarbi conti di fare almeno altre 65 telefonate a parlamentari indecisi e simili per convincerli a votare Berlusconi, deve averlo avvertito l’ex sottosegretario, consigliere, ambasciatore e quant’altro del Cavaliere, Gianni Letta, precedendo il vertice del centrodestra, l’altro ieri sull’Appia antica, con un visita a Palazzo Chigi. Dove risulta essersi incontrato col capo di Gabinetto del presidente del Consiglio ma nessuno ha confermato né smentito che abbia alla fine parlato con lo stesso Draghi, come per avvertirlo che le cose stavano mettendosi per lui assai diversamente da come sarebbero apparse con la formalizzazione ufficiale della candidatura di Berlusconi.

Su questa visita di Gianni Letta a Palazzo Chigi si erano già avute persino a Villa Grande, dopo il vertice conviviale cui lui aveva partecipato, reazioni di scetticismo o di preoccupazione. Ma oggi il caso è scoppiato su tutta la prima pagina dell’insospettabile Libero, guidato dall’ex direttore del Giornale della famiglia Berlusconi, Alessandro Sallusti, e schierato per la candidatura dell’ex presidente del Consiglio al Quirinale. “Letta continua”, ha titolato il quotidiano parafrasando la Lotta continua degli anni di piombo. “I piani di zio e nipote per il Colle”, ha aggiunto Libero nella titolazione affiancando quindi l’ex sottosegretario di Berlusconi al nipote Enrico, segretario Pd nettamente contrario a Berlusconi al Quirinale.

“La partita del Colle  -ha scritto Sallusti nell’editoriale – è tutta in un cognome: Letta. Già, perché nel campo del centrodestra a guidare le operazioni è Gianni Letta – per tutti “il dottore” perché solo a nominarlo vien paura – dal 1987 uomo ombra di Silvio Berlusconi con potere di vita e di morte su tutto ciò che si muove da quelle parti e non solo”. Ha un bello scrivere a questo punto il buon Augusto Minzolini, direttore del Giornale di famiglia dello stesso Berlusconi, che la partita del Quirinale in corso è la ricerca di una pace “fra due schieramenti contrapposti”: una pace che “possono siglare solo i generali”, non potendola “garantire né i colonnelli, né personaggi che si sono inventati il mestiere di paciere”. Allude pure lui a Gianni Letta?

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