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Che cosa succede a Roma?

scontri

I Graffi di Damato

Tentato ogni tanto dall’imitazione della buonanima di Giulio Andreotti di pensare male nella speranza beffarda di “azzeccarci”, anche se i figli non hanno trovato traccia di questo nei suoi diari, appunti e quant’altro, mi sono chiesto anche davanti alle immagini televisive e foto eloquentissime dei disordini scoppiati particolarmente a Roma se è accaduto tutto dannatamente per caso. E non apposta nel primo e penultimo sabato antecedente il ballottaggio elettorale per l’elezione del sindaco della Capitale.

Mi sono chiesto e mi chiedo se in quei disordini “eversivi”, come li ha definiti la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese,  in quell’assalto riuscito alla sede nazionale della Cgil e mancato per fortuna alla Presidenza del Consiglio, attorno alla quale ha funzionato  il cordone di sicurezza delle forze dell’ordine, non ci fosse più che la dichiarata avversione alle vaccinazioni e al green-pass, il proposito di prevenire, scongiurandola con lo sputtanamento, chiamiamolo così, una vittoria del candidato del centrodestra nel ballottaggio capitolino del 17 ottobre. Che è stato definito “la madre di tutte le battaglie” qualche giorno fa in una intervista al Corriere della Sera dall’indubbiamente pacifico, per carità, Goffredo Bettini, interessatissimo -a dir poco- ad evitare la sconfitta del suo compagno di partito Roberto Gualtieri. E di chi al di fuori del Pd  gli vorrebbe dare una mano, come Giuseppe Conte ed amici pentastellati, visto che non è più in lizza la sindaca uscente grillina Virginia Raggi.

Mi chiedo -insisto- se hanno dominato di più dentro e dietro le piazze, nel corteo non autorizzato ma ugualmente tollerato,  gli “idioti”, i “cretini”, i “marci”, come hanno titolato -rispettivamente, da destra a sinistra- La Verità, Libero e il manifesto, tutti riferendosi agli intestatari di destra delle proteste contro i vaccini ,cioè  quelli di Forza Nuova, o gli “infiltrati” ammessi da un po’ tutte le cronache, di segno evidentemente opposto.

Questi infiltrati, senza virgolette, su cui sarebbe auspicabile una seria, rapida, efficiente indagine degli organi preposti, più che ai vaccini, al green-pass, alla Cgil, alla Presidenza del Consiglio, miravano nelle e con le violenze di piazza a rovesciare secchi di fango, a dir poco, su quello già sprovveduto di suo che è, almeno politicamente parlando, il candidato scelto dal centrodestra, con o senza il trattino di Silvio Berlusconi, per la corsa al Campidoglio. Sto parlando naturalmente di Enrico Michetti. Che sarà, per carità, un avvocato amministrativista coi fiocchi, garantito in particolare da Giorgia Meloni e fratelli d’Italia, e non solo un “tribuno” della sua o quasi emittente radiofonica romana, ma non ha -francamente- il minimo senso della realtà e dell’opportunità politica.

Michetti  è riuscito non più tardi dell’anno scorso, pizzicato adesso dal manifesto, anche qui a pochi giorni -guarda caso- dallo svolgimento della “madre di tutte le battaglie”, sempre secondo Bettini, a difendere così male le sicure vittime degli altrettanto sicuri genocidi, alcuni dei quali forse ancora in atto, per esempio in Cina, attribuendo la prevalente notorietà di quello subito dagli ebrei alle loro banche e capacità “lobbistiche”. Dio mio, che disastro. Che zuppa in cui immergere il biscotto di un’eversione elettorale peggiore della violenza rovesciatasi ieri sulla incolpevolissima Capitale d’Italia, e gli ancor più incolpevoli cittadini chiamati a scegliersi il nuovo sindaco dopo il pattume e quant’altro ad essi lasciato dai grillini, compresi quelli, pochi o molti che siano, pronti a votare adesso per Gualtieri.

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