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Che cosa succede fra Conte e Salvini

I Graffi di Damato

Vorrei chiedere ai colleghi dei giornaloni, giornali e giornalini che stanno giocando con la crisi di governo come al lotto, dando più numeri che notizie, se sono proprio sicuri che il vice Matteo Salvini abbia “obbedito” al suo presidente del Consiglio Giuseppe Conte, facendo sbarcare i 27 presunti minorenni dalla nave del volontariato Open Arms ferma davanti a Lampedusa, per la voglia di recuperare il terreno politicamente perduto nei giorni scorsi e, in particolare, il rapporto con i grillini. L’obiettivo sarebbe naturalmente una riedizione della maggioranza gialloverde.

A parte il dissenso significativamente espresso dal ministro dell’Interno eseguendo il quasi ordine di Conte, emesso in quello che il manifesto ha chiamato “il buco delle lettere”, non mi sembra francamente che l’obbedienza di Salvini si sia tradotta in un successo politico del presidente del Consiglio. Che si è rivelato molto poco accorto quando si è scoperto che ben otto di quei 27 sbarcati come minorenni erano in realtà maggiorenni.

Della iniziativa o versione “umanitaria”, “responsabile” e quant’altro di Conte, supportata da un pronunciamento del Tar del Lazio, dalle richieste dell’Unione Europea, da una indagine sia pure “contro ignoti” per sequestro di persone avviata dalla Procura di Agrigento e altro ancora, è rimasto solo il segno di una inversione di linea nella gestione degli approdi e degli sbarchi dei migranti.

Poiché la vecchia linea, supportata da Conte e dagli altri ministri grillini prima che la liquidassero come “l’ossessione dei porti chiusi”, ha procurato a Salvini e al suo partito quel consenso tradottosi in un raddoppio dei voti leghisti nelle elezioni europee del 26 maggio scorso, e in un dimezzamento dei voti pentastellati, mi sembra che sia tutto da dimostrare il vantaggio accreditato al ribaltone in cantiere col progetto di un governo con Matteo Renzi, o i suoi uomini, o i suoi compagni di partito, al posto del Carroccio.

Di questo governo, assaporandone già gli odori e i sapori, Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano ha dettato  a suo modo al capo dello Stato il nome del presidente: naturalmente quello dell’uscente Conte, “il leader più apprezzato in Italia e all’estero”, anche se si può carpirne così facilmente la fiducia contrabbandandogli per minorenni otto maggiorenni su 27 in un solo sbarco. O anche se i grillini hanno potuto contestarne così clamorosamente al Senato lo sblocco della Tav da presentare una mozione di segno contrario, obbligandolo a disertare la seduta non si è capito se più per vergogna, o per rabbia, o per opportunismo contando sulle opposizioni per far prevalere la decisione maturata a Palazzo Chigi a favore del completamento della linea ferrovia ad alta velocità per il trasporto delle merci dalla Francia all’Italia, visto che la rinuncia sarebbe stata ancora più costosa della realizzazione.

C’è qualcosa che obiettivamente non funziona nello sbocco pro-ribaltone, che si annuncia in prevalenza sui giornali, di questa crisi che Matteo Renzi ha ragione a definire “la più pazza del mondo”, anche se non si chiede -neppure in una intervista al Giornale in cui ha dichiarato di “rimpiangere” l’editore Berlusconi comfrontandolo con Salvini- se a farla così pazza non ha contribuito proprio lui vomitando tutti i pop corn appena mangiati e proponendo un governo con gli odiati grillini. Che egli impedì al suo partito l’anno scorso, all’inizio della legislatura, con una intervista televisiva che vanificò la riunione della direzione convocata dal segretario di allora, Maurizio Martina, per il giorno dopo.

Renzi cerca di giustificare la sua svolta col pericolo, condiviso da Eugenio Scalfari su Repubblica e da Giuliano Ferrara sul Foglio, di un Salvini “totalitario” destinato a vincere le elezioni anticipate. Eppure dello stesso Salvini, prima ancora che la crisi sia stata formalizzata col dibattito in programma per martedì al Senato e per mercoledì alla Camera, gli avversari danno la rappresentazione di un uomo disperato, di un tattico sprovveduto e di uno stratega conseguentemente fallito. E persino di un vanesio che, dopo essersi abbronzato sulle spiagge, si fa quasi arruolare come un raccoglitore di pomodori o fiori nei campi del virtuale, o aspirante, suocero Denis Verdini.

Sarà colpa della mia ingenuità o della mia vecchiaia, ma i conti di questa rappresentazione della crisi, oltre che del precipizio di Salvini nell’inferno di Dante, fiorentino quasi come Renzi e Verdini, non mi tornano, o non mi convincono.

L’articolo da http://graffidamato.com

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