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Che cosa succederà fra Zingaretti e Movimento 5 Stelle

Referendum

I graffi di Damato sulla minaccia grillina al governatorato del Lazio per il nuovo segretario del Pd, Nicola Zingaretti

Pur contrario per il futuro al doppio incarico di capo del partito e del governo, che alla lunga in effetti non ha portato bene a Matteo Renzi, così come nella storia della Dc a uomini di temperamento come Amintore Fanfani e Ciriaco De Mita, il nuovo segretario del Pd Nicola Zingaretti ha deciso di tenersi stretta la carica di governatore della regione Lazio. Dove dispone sulla carta di una risicatissima maggioranza di centrosinistra, dipendendo in realtà da un’opposizione sostanzialmente benevola dei grillini, gestita in particolare dalla capogruppo Roberta Lombardi. Che è una donna alquanto “tosta”, già presidente del gruppo alla Camera nella scorsa legislatura, ben conosciuta per il suo difficile temperamento nel partito dalla sindaca di Roma Virginia Raggi. Della quale la signora da Montecitorio seppe prevedere e denunciare tutti i limiti che avrebbe saputo dimostrare cambiando, per esempio, collaboratori e assessori a ritmi a dir poco insoliti.

IL MONITO DELLA GRILLINA LOMBARDI

Ebbene, la Lombardi in una intervista al Messaggero si è affrettata ad avvertire Zingaretti che, se continuerà a fare il segretario del partito come ha cominciato, correndo a Torino per sfidare i grillini, ma anche i troppo pazienti leghisti, sulla urgenza della Tav, e liquidando come “furbizia” l’aiuto chiestogli dal vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio per portare avanti in Parlamento il progetto del “salario minimo”, non potrà scommettere molto sulla sopravvivenza politica come governatore della sua regione. Il “dialogo” locale con le cinque stelle si interromperebbe e le elezioni anticipate potrebbero sopraggiungere anche in regione, e non solo a livello nazionale, come proprio Zingaretti ha prospettato in caso di crisi del governo gialloverde, escludendo soccorsi di qualsiasi tipo ai grillini per rimpiazzare i leghisti.

IL TRENO DI ZINGARETTI

Il treno sotto al quale nella redazione del manifesto hanno immaginato di vedere Zingaretti, pensando a quello ad alta velocità per le merci che lui è andato a sostenere a Torino definendo “criminali” i tentativi grillini di chiudere i cantieri già aperti, potrebbe essere o diventare un più modesto convoglio delle linee ferroviarie laziali. Quello di Zingaretti diventerebbe il viaggio politico fra i più brevi al vertice del Pd, dove pure si sono avuti segretari di transizione come Dario Franceschini, dopo le dimissioni di Walter Veltroni, o Guglielmo Epifani, dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani, o di Maurizio Martina, dopo le dimissioni di Matteo Renzi.

UNA PARTITA “DISPERATA”

Per quanto uscito molto bene dalle primarie di domenica, anche con i risultati definitivi che sono stati inferiori a quelli provvisori, con un milione e 600 mila partecipanti anziché un milione e 800 mila, e con il 67,22 per cento di voti per il segretario eletto, anziché il 70 per cento e anche oltre festeggiato a caldo, Zingaretti ha tempi obiettivamente stretti per giocare la sua partita. Che l’impietoso Massimo Cacciari, pur suo dichiarato elettore nei gazebo, ha definito praticamente disperata, parlando delle elezioni europee di fine maggio già come dell’”ultima spiaggia” del nuovo segretario. E prevedendo, in caso di mancata e concreta ripresa, o solo di raggiungimento della infelice percentuale delle elezioni politiche dell’anno scorso, il ritorno dei renziani astutamente dispersi domenica scorsa fra i tre candidati alla segreteria. Eppure essi, a cominciare da Renzi in persona, hanno garantito collaborazione a Zingaretti per risparmiargli il “fuoco amico” riservato invece all’attuale senatore di Scandicci nei suoi due turni di capo del partito.

 

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