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Che smacco, per Berlusconi, essere trattato come l’azionista di minoranza del cdx

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I Graffi di Damato

Chi conosce davvero Silvio Berlusconi, magari anche per avere lavorato con lui, sa bene quanto debba essergli costato non solo e non tanto accettare la regola, reclamata da Giorgia Meloni, del diritto del partito più votato nel centrodestra di indicare al capo dello Stato, in caso di vittoria, il nuovo presidente del Consiglio, quanto dovere avere rinunciato all’abitudine di giocare in casa, diciamo così. Cioè di trattare gli alleati come ospiti, riunendoli in qualcuna delle sue ville, fra Arcore e Roma, tutti seduti attorno a lui e alla quasi consorte. Stavolta gli è toccato andare in una sede “istituzionale”, anch’essa imposta dalla Meloni, cioè in una saletta di gruppo alla Camera. Dove, prima di acconciarsi col sorriso di circostanza a un comune tavolo di presidenza, il Cavaliere è arrivato per niente allegro dopo un viaggio in auto dalla sua abitazione sull’Appia Antica. Le foto stanno lì a dimostrarlo, con una didascalia che potrebbe essere presa dalla nota politica di Massimo Franco sul Corriere della Sera, in cui il soggetto è la leader della destra italiana incoronata per ora solo dai sondaggi: “Nella “sede istituzionale” dell’incontro, alla Camera invece che nella villa di Silvio Berlusconi, ha prevalso dunque la sua linea. Per Salvini e il Cavaliere è uno schiaffo che fingono di trasformare in concordia”.

L’unico onore, riguardo e quant’altro negato da Berlusconi alla sua ex ministra è stato, il il giorno prima, quello di accorrere con la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati Alberti, la vice Paola Taverna -sì, la grillina che in romanesco stretto “sfonna” tutti quelli che gli sono antipatici- e un’infinità di ospiti abbienti di danaro e incarichi a una festa in onore di Giorgia Meloni organizzata in un casale di Monte Mario, vicino allo Stadio Olimpico, dal deputato forzista Gianfranco Rotondi. Che ha democristianamente finto di celebrare soltanto il proprio sessantaduesimo compleanno.

Una scrupolosa, e un pò irriverente, cronaca di Salvatore Merlo sul Foglio dà bene l’idea di quanto sappia essere generoso il cosiddetto “generone romano” quando si ritrova con chi è in odore di successo politico: tutti pronti ad omaggiare, a fare complimenti, a dare informazioni e suggerimenti e -i più sfacciati- a proporsi. Figuriamoci se Berlusconi poteva accettare anche il supplizio di aggiungersi a questo spettacolo. Ha solo telefonato al momento più o meno giusto a Rotondi sentendosi amichevolmente rimproverare per l’assenza, cioè per il rifiuto dell’invito, e giustificandosi per il gran lavoro che lo impegnava a casa in preparazione del vertice del centrodestra del giorno successivo. E alla maliziosa osservazione di Rotondi che si avrebbe potuto preparare ancor meglio partecipando alla sua festa, il Cavaliere ha ricordato che avrebbe in quel modo fatto un torto a Matteo Salvini. Il quale -chissà- forse era accanto a lui, a predisporsi alla resa a Meloni nella “sede istituzionale” della Camera.

Berlusconi, si sa, usa dire di se stesso con compiacimento di sapere essere concavo o convesso, secondo le circostanze. Ma forse questa volta gli tocca imparare ad essere anche piatto, o più furbescamente sperare in qualche incidente di percorso della sua ex ministra: magari, un’esitazione del presidente della Repubblica a nominarla davvero alla guida del nuovo governo in caso di vittoria elettorale del centrodestra. E’ anche o soprattutto su Mattarella -penso- che cerca di premere la Repubblica, quella di carta, con la campagna antimeloniana avviata in questi giorni, in sintonia col suo ex editore Carlo De Benedetti, sceso in campo ieri sul Corriere della Sera, non bastandogli Domani, il suo nuovo giornale. Il titolo di oggi di Repubblica, su una foto della Meloni comiziante, è “la falange”, anticamera -o qualcosa del genere- del fascio.

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