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Chi e come si agita sul caso Palamara

Quirinale Social Presidente Della Repubblica

I Graffi di Damato sull’assedio al Quirinale per il marasma giudiziario del caso Palamara

L’assedio al Quirinale, diciamo la verità, è ormai frequente in Italia. Dove c’è sempre qualcuno che si aspetta dal presidente della Repubblica di turno qualcosa in più, o magari anche in meno, di quanto faccia o non faccia nello svolgimento della sua altissima funzione.

In questi giorni tuttavia di palamavirus, e non solo di coronavirus, l’assedio si è fatto più insistente e diffuso, spingendo il capo dello Stato anche ad emettere segnali di impazienza. Il Corriere della Sera, per esempio,  ha appena diffuso una nota del quirinalista Marzio Breda per avvertire che Mattarella non ha poteri disciplinari sulle toghe né può sciogliere il Consiglio Superiore della Magistratura se non si dimette una parte sufficiente a fargli mancare il cosiddetto numero legale.

IL CAOS PALAMARA

Nella sua doppia veste di presidente della Repubblica e del Consiglio Superiore della Magistratura, appunto, Mattarella si trova premuto sia da destra sia da sinistra — ma in modo, come vedremo, assai diverso — sul terreno della crisi apertasi clamorosamente nel mondo delle toghe per il chiacchiericcio, a dir poco, intercettato col Trojan sul telefonino dell’ex presidente dell’associazione nazionale dei magistrati ed ex consigliere superiore Luca Palamara, impegnato freneticamente a costruire e smontare carriere dei colleghi col taglierino delle correnti. E a distrarsi, in questo compito, sino a insultare un ministro allora in carica, salvo poi scusarsene, a intercettazione diffusa, invocando altre interlocuzioni dalle quali risulta persino l’opposto, cioè la sua convinzione che lo stesso ministro — parlo naturalmente di Matteo Salvini — fosse e magari sia ancora, da ex titolare del Viminale, il migliore leader sul campo.

“IL SILENZIO PUBBLICO” DI MATTARELLA

Da destra Il Giornale della famiglia Berlusconi e La Verità di Maurizio Belpietro hanno titolato più o meno vistosamente contro il “silenzio” pubblico di Mattarella, limitatosi a raccogliere rigorosamente solo  in privato le proteste e le preoccupazioni di Salvini. Che da imputato, indagato e quant’altro di vari sequestri di navi e immigrati, reclama non a torto giudici davvero terzi.

Da sinistra, per quel che vale una classificazione del genere in questi tempi di grande confusione ideologica e viscerale, Sergio Mattarella ha ottenuto un curioso atto di riguardo, diciamo così, dal Fatto Quotidiano per il compianto fratello Piersanti. Che fu ucciso dalla mafia come presidente della regione siciliana nel 1980. È un riguardo riferito a Giovanni Falcone, di cui è stato appena ricelebrato il martirio nel 28.mo anniversario della strage di Capaci.

IL MESSAGGIO DEL “FATTO”

Chiamato otto mesi prima della morte dal Consiglio Superiore della Magistratura a spiegare presunti ritardi o omissioni da lui compiuti nelle indagini anche sull’assassinio del fratello dell’attuale  presidente della Repubblica, Falcone spiegò praticamente la cristallina onestà antimafiosa del presidente della Regione, come se non bastasse la sua morte a testimoniarlo, per essere ormai votato fuori dal vecchio collegio elettorale del padre, Bernardo, situato in una parte della Sicilia ad alta densità mafiosa come il Trapanese.

Ditemi voi, in questi giorni di comprensibile malumore o timore anche suo per le toghe contagiate da palamavirus, se quello del Fatto notoriamente simpatizzante di Procure e affini può considerarsi un messaggio consolante per Sergio Mattarella, custode giustamente geloso della buona memoria non solo del fratello ma anche del padre, iscrittosi nel 1924 al Partito Popolare di Luigi Sturzo fondato nel 1919. E fedele e apprezzato ministro anche di Aldo Moro nella cosiddetta prima Repubblica.

 

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