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Chi gongola (e chi no) per la rottura tra Calenda e Letta

Carlo Calenda

Cosa succede dopo l’addio di Azione di Carlo Calenda al Pd di Enrico Letta? La nota di Paola Sacchi 

Su alcune cruciali proposte come quelle contro l’aumento delle tasse e a favore del nucleare Carlo Calenda e Matteo Renzi e i loro due piccoli centri – che chissà se si uniranno nel terzo polo lanciato dal leader di Iv – sono più simili al centrodestra che a quel centrosinistra cui appartengono. Ma con il Pd di Enrico Letta una cosa li unisce: la demonizzazione dell’avversario, trattato come un pericolo. Terzo o quarto polo sì, ma sempre lì si va prima o poi a finire.

Non appartengono entrambi per ragioni anagrafiche e politiche (Renzi viene dalla cultura della sinistra Dc poi unitasi nel Pd agli ex Pci; Calenda a quella Ztl romana, metafora politica del cosiddetto pd radical-chic) alla cultura della “ditta” di rossa memoria. Ma sono entrambi personaggi di sinistra, seppur rosa, certamente più riformista delle anime rosse che popolano il labirinto delle correnti dem. Comprese quelle che individuarono nel leader pentastellato Giuseppe Conte il “punto di riferimento dei progressisti” (Nicola Zingaretti, Goffredo Bettini) e che ora con la spinta di ministri dem come Andrea Orlando o dell’alleato di Articolo Uno, Roberto Speranza, avrebbero, secondo i retroscena, fatto particolare pressione per l’alleanza elettorale di Letta anche con la sinistra radicale e dei Verdi di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Che ha votato anche contro l’allargamento della Nato. L’intesa elettorale di Letta con loro ha portato al patatrac dell’accordo con Calenda.

Ma lo stesso Renzi, messosi fuori fin da subito, e il leader di Azione, che con Renzi allora segretario prese la tessera Pd alla storica sezione Mazzini ex Pci, nell’immaginario collettivo non appaiono come personaggi venuti da un altro pianeta. Fu Renzi a volere il governo Conte 2, agitando lo spauracchio dei famigerati “pieni poteri” di Matteo Salvini e per mesi andò avanti con lo sfottò continuo del Papeete. Durante quel governo, poi fatto cadere dallo stesso leader di Iv, fu – solo per fare un esempio – anche nominato il filo-putiniano doc Vito Petrocelli, alla presidenza della commissione Esteri del Senato, solo verso la fine sostituito dalla senatrice di Forza Italia Stefania Craxi.

Ma Calenda subito dopo aver fatto il patto, poi andato in frantumi, con Letta partì in quarta contro “le destre”, “putiniane e orbaniane”. Anche Renzi, come Calenda e Letta, la parola centrodestra non la nomina mai. Il “centro” della coalizione avversaria, rappresentato da Silvio Berlusconi, che guida il principale partito italiano del Ppe, di cui il numero due del Cav, Antonio Tajani è vicepresidente, nonché ex presidente del Parlamento europeo e ex commissario Ue, è termine amputato. Oggi verrà presentato il simbolo FI anche con la sigla del Ppe. E la Lega di Salvini è un partito trasversale, post-ideologico, rappresentativo di ceti medi di imprenditori e professionisti privati, oltre che il più votato dagli operai.

Le politiche di controllo dell’immigrazione clandestina del leader della Lega al Viminale portarono a un netto calo degli sbarchi. Politiche bollate come “razzismo”, ma che chiedono quegli stessi ceti medi imprenditoriali che al contrario avrebbero bisogno di manodopera qualificata come avviene in altri paesi europei. Fu lo stesso Renzi, schierato su posizioni ultra-garantiste fino a non votare la riforma Cartabia, a dire sì con tutto il centrosinistra al processo a Salvini su una scelta politica durante il Conte 2. Pier Ferdinando Casini, eletto da indipendente con il Pd di Renzi, votò no.

Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, è da tempo anche leader dei Conservatori europei. Il leader di Iv ieri sera ha attaccato “la destra”, definita non “fascista ma sfascista”, a suo avviso, dei conti pubblici per “le sue proposte elettorali”.

Il programma del terzo polo ancora non si conosce. Quello del centrodestra sta andando avanti. Berlusconi è tornato a farsi sentire nelle “pillole” di programma dei suoi messaggi social: “Il segretario del Pd, Letta, ha già annunciato che vuole introdurre un’imposta patrimoniale sui nostri risparmi e anche un’imposta sulle successioni. Al contrario noi non approveremo mai, in modo assoluto, un’imposta patrimoniale sulla casa, che per noi è sacra, un’imposta patrimoniale sui risparmi, un’imposta sulle donazioni e sulle successioni. Il denaro guadagnato onestamente e già pesantemente tassato deve rimanere nostro”.

E Salvini, che con Berlusconi propone la flat tax per tutti: “Terzo, quarto, quinto polo? Ci sono tre o quattro centrosinistra che litigano tra loro, Letta Renzi, Calenda, mentre il centrodestra è compatto e si batte contro la pressione fiscale e per la sicurezza”.

Quello delle tasse è il tema sui cui batte il tasto anche Meloni, il cui partito viene dato in testa dai sondaggi. La presidente di FdI ribadisce che potrebbe essere indicata premier in base alla regola approvata dal centrodestra per cui la proposta della premiership spetta a “chi avrà preso più voti”. Salvini ricorda che se fosse la Lega “siamo pronti a guidare l’Italia”. Fisiologica competition interna, come del resto è stato sottoscritto dai leader. Una situazione imparagonabile con il caos nel centrosinistra, alle prese con la fine della sua strategia quasi trentennale di demonizzazione dell’avversario politico. E l’incognita di un terzo polo di piccoli centri.

Anche un osservatore politico indipendente come Claudio Velardi, che viene dalla sinistra, non è di centrodestra, nel podcast di ieri “Impressioni di settembre” certifica che “il centrosinistra è rimasto vittima delle sue stesse macchinazioni”, della “demonizzazione del nemico”, in un paese “dove non da ora il centrodestra parte da una base solida del 40 per cento”. Per cui, afferma Velardi, ex lothar dalemiano, il centrosinistra “si rassegni per una volta ad andare all’opposizione” e “con gioia” , per rinnovarsi. Quel che resta della ex “ditta” Pci-Pds-Ds, infine Pd, avrebbe di che riflettere.

Articolo pubblicato su Start Magazine. 

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