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Chi ha paura di Draghi?

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La paura che fa Mario Draghi in volo sull’aquila di Confindustria. I graffi di Damato

Nella vignetta di Emilio Giannelli, che oggi sulla prima pagina del Corriere della Sera fa svettare sul palazzo di Montecitorio come un missile Mario Draghi festosamente in groppa all’aquila della Confindustria, alla cui assemblea il presidente del Consiglio è stato accolto entusiasticamente e salutato da Carlo Bonomi, il padrone di casa, come l’uomo “non della Provvidenza ma della necessità”, hanno potuto in qualche modo riconoscersi giornali di segno opposto ma curiosamente concordi in una valutazione preoccupata della situazione.

 

Sul Riformista di Piero Sansonetti, per esempio, hanno attribuito al presidente della Confindustria, e implicitamente allo stesso Draghi che ha gradito l’accoglienza ricevuta dagli imprenditori, “il sogno di far fuori la politica”. Che non è proprio il massimo che possa desiderare, o cui possa puntare, un democratico.

 

Sul Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, che sta al Riformista come il diavolo all’acqua santa, o viceversa, secondo i gusti, hanno visto nella “incoronazione” confindustriale di Draghi un altro passo in avanti sulla strada di “un partito unico articolato”, o la conferma, condivisa in una intervista da Luciano Canfora, del “sempre più concreto disegno delle èlite per il SuperMario senza scadenza”, ben oltre quindi la conclusione ordinaria della legislatura.

Del resto anche il segretario del Pd, che il giornale di Travaglio tuttavia accomuna a Giuseppe Conte come resistente o contrario a questa evenienza, ha ripetutamente parlato di Draghi a Palazzo Chigi “almeno sino al 2023”, quando dovranno essere rinnovate le Camere, salvo incidenti ed elezioni anticipate per scelta del successore di Sergio Mattarella al Quirinale, l’anno prossimo. O dello stesso Mattarella rieletto e quindi non più bloccato dal cosiddetto semestre bianco, l’ultimo del suo primo mandato. Quell’”almeno” non sarà sfuggito per caso al segretario del Pd che ha insegnato politica anche a Parigi.

 

Contro un Draghi sopravvissuto politicamente anche alle prossime elezioni politiche, o addirittura eletto al Quirinale, e ancora più scambiabile da Ernesto Galli della Loggia per quella specie di edizione italiana di Charles De Gaulle già indicata in un editoriale del Corriere della Sera, al Fatto Quotidiano si stanno già attrezzando con vignette, cattiverie di giornata e fotomontaggi. Potrebbero, per esempio, adoperare contro il temuto presidente del Consiglio quella coppola e quel fucile oggi sbattuti sul tavolo per dare dei mafiosi a tutti i giornali che hanno esultato per la sentenza d’appello, a Palermo, sulla cosiddetta trattativa con la mafia. Che, se ci fu davvero, nella stagione delle stragi non costituì reato -ha stabilito la Corte d’Assise in secondo grado- perché fu solo un’’operazione investigativa e di polizia per arrivare ai boss mafiosi e arrestarli, come avvenne, anche se al Fatto Quotidiano stentano ancora a rendersene conto.

 

E’ un po’ conforme, infine, allo spirito ironico, e quindi critico, della vignetta del Corriere della Sera su Draghi in groppa all’aquila confindustriale l’accusa rivolta agli imprenditori, e in fondo anche al presidente del Consiglio, dal giornale di Carlo De Benedetti –Domani-  di “non capire come funziona la democrazia”. Che evidentemente, con l’avallo dell’editorialista Nadia Urbinati, si misura col numero di governi che i partiti riescono a far fuori nei cinque anni di una legislatura, o anche meno in caso di ricorso anticipato alle urne.

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