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Chi sono i draghiani veri e immaginari

Draghi

I Graffi di Damato

Difficile, diceva col suo consueto garbo del suo e nostro Paese il compianto Piero Angela, come già notavo ieri. Curioso, paradossale e altro ancora, potremmo aggiungere davanti a quel campionario dell’Italia che potrebbe ben essere visto nei 101 simboli presentati al Viminale per le elezioni anticipate del 25 settembre, fra una quarantina di giorni soltanto. E per fortuna, ripeto ancora ringraziando Draghi e Mattarella, in ordine delle competenze rispettive in questo campo, di averci risparmiato una campagna elettorale più lunga, e quindi più esposta alle stranezze, vista l’abitudine che abbiamo di giocare con le istituzioni e di fare qualche volta la cosa giusta solo a nostra insaputa, o per scherzo.

Lo hanno fatto, per esempio, quei bontemponi che all’ultimo momento, giusto per scherzare appunto -visto che la loro iniziativa è destinata alla bocciatura tecnica del Ministero dell’Interno- ma esprimendo il sentimento forse più diffuso nel Paese hanno presentato il simbolo tricolore “Italiani con Draghi”, per un “rinascimento” nazionale, hanno aggiunto alla maniera di Vittorio Sgarbi. Che del rinascimento ha fatto uso e abuso in precedenti occasioni e potrà forse contribuire con qualche protesta a fare cestinare il simbolo praticamente impugnato anche da Draghi in persona. Una nota di Palazzo Chigi ne contesta la “trasparenza” per la inconsapevolezza del per niente interessato alla competizione elettorale.

“Italiani con Draghi” sarebbe stato un simbolo efficacissimo se fosse stato concepito sul serio, concordato fra partiti una volta tanto uniti da un obiettivo serio, utile all’Italia. Che davvero non meritava quanto meno le modalità di uno scioglimento anticipato delle Camere che pure aveva una sua motivazione politica altissima nella lunga, evidente ed esplosa crisi della forza politica attorno alla quale era ruotata con le maggioranze più diverse la legislatura prodotta dalle elezioni del 2018: il MoVimento 5 Stelle.

Le modalità del trauma politico, con una sorprendente convergenza -a dir poco- di Beppe Grillo e di Silvio Berlusconi, di Giuseppe Conte e di Matteo Salvini, peraltro già alleati come presidente e vice presidente del Consiglio fra il 2018 e il 2019, della destra di Giorgia Meloni e della sinistra di Nicola Fratoianni, sono state quelle della contestazione della guida del governo più autorevole che avessimo potuto e potremmo ancora avere sul piano internazionale: quella appunto di Draghi. Alle cui dimissioni hanno brindato al Cremlino, fra un ordine e l’altro nella guerra di feroce, persistente aggressione all’Ucraina.

Bel capolavoro della politica nazionale. Un capolavoro di follia, del resto rivendicata come “creativa” anche in uno dei fantasmagorici simboli presentati al Viminale anche all’esterno come in una fiera dell’assurdo. Che anch’essa, tra foto e gesti festosi e compiaciuti dei concorrenti, francamente meritava di essere spazzata via da un provvidenziale temporale di stagione. Ma anche l’estate è impazzita scaricando l’acqua altrove, sui posti sbagliati.

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