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I Graffi Damato sul ritorno dimesso di Davigo nella familiare piazza pulita di Formigli

Com’era previsto, anzi scontato, Pier Camillo Davigo è rimasto di casa nella piazza pulita televisiva di Corrado Formigli, a La 7, anche dopo avere perduto almeno il primo tempo della partita giocata al Consiglio Superiore della Magistratura per rimanervi anche da pensionato.

Il secondo tempo della partita, come si sa, si giocherà nel tribunale regionale amministrativo del Lazio, cui l’ormai ex magistrato ha annunciato ricorso non per tigna, come forse pensano quelli che non lo stimano, ma per convinzione, sicuro com’è che la maggioranza del Consiglio Superiore, per quanto larga nel suo caso, abbia sbagliato a deciderne la decadenza prima della fine del mandato quadriennale conferitogli nel 2018 dai suoi 2500 e rotti elettori.

Nel suo ritorno da Formigli, stavolta nei panni del pensionato, Davigo mi è sembrato dimesso nel senso non di dimissionario, naturalmente, ma di modesto, umile, misurato anche nei gesti, come dice il dizionario della lingua italiana che ho appositamente consultato prima di scrivere, perché col sia pur ex magistrato bisogna stare sempre attenti ad usare le parole per non essere querelati: molto più attenti di lui quando parla degli altri. Come quando disse – se non sbaglio, proprio nella piazza pulita di Formigli, o in qualche altro salotto televisivo – che “i politici non hanno smesso di rubare, hanno solo smesso di vergognarsi”. O come quando divise quanto meno gli imputati, se non tutti gli italiani, fra chi la fa franca con l’assoluzione e chi invece si becca la meritata condanna.

Anche a questo tipo di linguaggio credo, anzi temo che si riferisse qualche giorno fa sul Fatto Quotidiano – e dove sennò? – un amico ed estimatore di Davigo come Giancarlo Caselli elogiandone la franchezza “urticante” in un articolo di saluto solidale. E di raccomandazione ai lettori di non dimenticarne “i tanti meriti” disconosciuti, in particolare, da quanti “festeggiano anche in maniera scomposta” il pensionamento del famoso “dottor Sottile” del pool giudiziario di Milano, protagonista della stagione “anti corruzione” nota come quella di “Mani pulite”. Che notoriamente, pur tra qualche spiacevole suicidio e numerose assoluzioni, né gli uni né gli altri menzionati da Caselli, segnò la fine della cosiddetta prima Repubblica. E portò alla nascita dell’altrettanto cosiddetta seconda Repubblica, ma con l’inaspettata vittoria elettorale di Silvio Berlusconi. Cui Caselli ha rimproverato le “crociate avviate” contro la magistratura “in seguito – non è un mistero – ai numerosi processi a suo carico e di alcuni dei suoi più stretti collaboratori”, ha scritto ancora l’amico, collega e difensore di Davigo con lo stile e la sicurezza, diciamo così, di uno storico formatosi alla scuola di Tacito.

Con comprensibile e storica sicurezza, pure lui, Davigo ha detto, tornando nella piazza pulita de La 7, che il suo “orgoglio più grande è di aver fatto il mio dovere al meglio delle mie capacità”. Al meglio delle sue capacità sono certo anch’io. Al meglio in senso assoluto, senza avere mai esagerato nei toni e nelle decisioni, sono francamente meno certo, assai meno.

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