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Chi sostiene (e chi no) ancora l’Ucraina in Parlamento

Parlamentari Openpolis

I Graffi di Damato

Il dibattito tanto voluto alla Camera da Giuseppe Conte per capeggiare l’opposizione ai nuovi aiuti militari all’Ucraina aggredita dai russi si è concluso in modo che ciascuno ha potuto vedervi quello che ha voluto. Anche il Conte, appunto, rappresentato da Stefano Rolli nella vignetta sulla prima pagina del Secolo XIX con la bandiera del pacifismo battuta come un bastone nodoso sulla testa di Enrico Letta: il bersaglio vero di questa campagna d’inverno giocata dal presidente del movimento grillino tutta in funzione della politica interna, nel tentativo di destabilizzare ancora di più il Pd e prenderne il posto a sinistra. Ma in una concezione della sinistra a dir poco massimalista. 

In sintonia con la campagna di Conte il giornale che lo affianca di più -naturalmente Il Fatto Quotidiano- ha gridato all’”inciucio bellicista” mettendo il Pd e il cosiddetto terzo polo “con le destre” e sistemando Giorgia Meloni, in una  vignetta del solito Vauro, su un balcone semicircolare in elmetto, camicia nera e pantaloni di mussoliniana memoria per invitare gli italiani a scegliere fra  lei, cioè la guerra, e il burro. 

Sono state e sono tutte “moine” secondo Il Giornale della famiglia Berlusconi perché sulle armi all’Ucraina il Pd si è solo astenuto. In effetti esso non ha votato a favore come fece dall’opposizione la Meloni nella scorsa legislatura, sullo stesso tema, col governo di Mario Draghi. In compenso Conte è definitivamente diventato “filo russo” dopo essere stato altalenante con Draghi: prima a favore delle armi all’Ucraina e poi contro, sino  a indurre l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio a denunciare uno sporco gioco di sponda con l’ambasciata russa in Italia e a lasciare per protesta il Movimento 5 Stelle con buona parte dei parlamentari. 

Per la Repubblica, quella naturalmente di carta, il dato saliente del passaggio parlamentare sulla prosecuzione degli aiuti militari all’Ucraina per tutto l’anno prossimo, destinato a materializzarsi in un apposito decreto legge, deve essere considerato la tenuta della Meloni rispetto agli “alleati filo-Putin” esistenti e operanti, neppure tanto dietro le quinte, nella maggioranza e nello stesso governo. Dove il ministro forzista degli Esteri e vice presidente del Consiglio Antonio Tajani è, per carità, filo-ucraino ma Berlusconi continua a pensare, e ogni tanto anche a dire, che Zelensky ha un pò esagerato pure lui perché in fondo Putin pensava all’inizio di chiudere la faccenda in poche ore o giorni facendolo sostituire a Kiev con un pò di brava gente, evitando tutto quel casino -scusate la parolaccia- che rischia di procurargli, nelle intenzioni appena dichiarate dalla presidente della Commissione Europea, un nuovo processo di Norimberga. Sarebbe la riedizione di quello celebrato contro i superstiti gerarchi nazisti dopo la seconda guerra mondiale. 

Per La Stampa, infine, almeno per oggi, più ancora dell’”inciucio bellicista” lamentato dal  Fatto Quotidiano, o delle “moine” avvertite dal Giornale, contano come spettacolo alla Camera sulle nuove armi all’Ucraina, probabilmente anche i missili Aspide, la “maggiorana compatta” nella votazione della sua mozione e “l’opposizione in pezzi”. In effetti, e in fondo, è accaduto anche questo nell’aula di Montecitorio. 

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