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Chi spera che Draghi cada (magari con l’aiuto di Salvini)

Palazzo Chigi

Quante notizie premature o esagerate su Draghi consumato dai leghisti. I Graffi di Francesco Damato

Qualche collega spiritoso che ha la fortuna di scrivere sui cosiddetti giornaloni, tali di nome anche quando in edicola perdono molto della loro boria, dovrebbe decidersi a inventare una rubrica quotidiana, magari di poche righe, per segnalare le notizie, diciamo così, premature di cui sono farcite sempre più spesso le cronache politiche, o simili. E scherzarci sopra, come ha appena fatto Papa Francesco con gli amici cardinali che, spontaneamente o incoraggiati da false anticipazioni di stampa, si stavano già preparando al Conclave per sostituirlo, poco importa se da morto o ancora da vivo, ma dimissionario come il predecessore Benedetto XVI. Che forse è stanco di occupare da solo il posto di Papa emerito, come lo chiamerebbero i politici di casa nostra: casa, non cosa.

Spiritoso come il Papa, che del resto lo apprezza a tal punto da esserselo portato nella Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, e per giunta formatosi a scuola dai gesuiti, Mario Draghi potrebbe cominciare a scherzare su quelli che dopo poco più di sei mesi di esperienza a Palazzo Chigi lo danno ogni tanto già finito politicamente, a dispetto o paradossalmente anche a causa di chi scommette sul suo trasferimento al Quirinale, nella speranza che in quel palazzo i fantasmi dei Pontefici che vi lavorarono riescano a imbalsamare anche uno come lui.

I leghisti sulle cui tensioni, divisioni, umori eccetera puntano i nostalgici di Giuseppe Conte, e qualcuno anche nel Pd, vedono spacciato un giorno sì e l’altro pure persino un presidente del Consiglio dello spessore internazionale dell’ex capo della Banca Centrale Europea, non ce le fanno proprio ad accontentare le attese dei loro falsi avversari. Protestano, si distinguono, disertano alcune votazioni anche di fiducia, che continuano a sprecarsi tra Camera e Senato, ma alla fine restano nel governo e nella maggioranza. L’eurodeputata Francesca Donato scende dal Carroccio per protesta dichiarata contro il potente ministro Giancarlo Giorgetti, che pure lei cerca di contrapporre al leader della Lega, e per meglio rappresentare e difendere il cosiddetto popolo combattente dei “no vax”, trattato da Draghi come gli ebrei da Hitler, e Matteo Salvini, fra un comizio e l’altro della campagna elettorale per le amministrative e le suppletive politiche del 3 e 4 ottobre, le manda sarcasticamente “saluti” e “auguri”. Egli avrà riso di consenso vedendosi oggi sulla prima pagina del Secolo XIX nella vignetta di Stefano Rolli -non Folli, quello di Repubblica che non disegna ma scrive- nella veste gemellare e indivisibile “di lotta e di governo”. Che a Draghi gesuiticamente, direbbero gli avversari, alla fine sta bene, per quanto non possa piacere a Enrico Letta e a Giuseppe Conte.

Pescherà pure “a strascico” nelle aule parlamentari e fuori, come hanno mostrato di dolersi nella foto e nel titolo di copertina quelli del manifesto, ma al presidente del Consiglio interessano i risultati delle sue scelte e decisioni, che alla fine sono quelle che prevalgono, a dispetto delle resistenze e dei borbottamenti. Fra i quali -sia le une che gli altri- Augusto Minzolini ha ragione sul Giornale a dolersi che sfuggano troppo spesso quelli dei grillini di tendenza contiana, a parte gli sfottò che il professore ora riceve anche dal Fatto Quotidiano, e della sinistra del Pd rappresentata al governo dal ministro del lavoro Andrea Orlando.

TUTTI I GRAFFI DI FRANCESCO DAMATO

 

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