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Chi stecca nel coro degli sciacalli sui Benetton

I graffi di Damato

Non chiamatemi fissato, ma in questo lunedì piovoso di fine ottobre, piuttosto che occuparmi delle abituali tensioni nel governo gialloverde, che sopravvivono a tutti gli incontri, vertici e quant’altro promossi per allentarle, o dei risultati delle elezioni tedesche in Assia, che pure dovrebbero servire di lezione anche ai partiti italiani, di maggioranza e di opposizione, preferisco tirare un sospiro di sollievo per il pur modesto, modestissimo segno di riscatto della politica dall’ignobile spettacolo di ostilità, nel migliore dei casi di indifferenza, offerto di fronte alla morte e poi ai funerali di Gilberto Benetton. Al quale non sono state perdonate neppure da defunto le colpe del crollo del ponte Morandi di Genova attribuitegli col solito, odioso rito sommario persino dal governo. Come se fosse stato lui, avido di guadagni e a capo della famiglia partecipe della società concessionaria dell’autostrada di cui quel manufatto faceva parte, a disinteressarsi o, peggio ancora, a negare, impedire e altro ancora una efficace manutenzione del viadotto.

IL RISCATTO DA RENZI

La politica nazionale è stata riscattata dal senatore Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio ed ex segretario del Pd, con una lettera al Gazzettino, il quotidiano del NordEst, come si vanta di essere la testata: una lettera di “profondo rispetto” per Gilberto Benetton e tutta la sua famiglia “in un tempo di sciacalli e di codardi”. È il rispetto dovuto a chi “ha dato lavoro a migliaia di italiani, e non solo trevigiani” creando e sviluppando “un’azienda straordinaria”, nota con i suoi colori e le sue multiformi attività in tutto il mondo.

Renzi – la cui lettera è stata meritoriamente pubblicata dal Gazzettino in prima pagina, e in apertura, affiancata da una missiva di Sabrina Benetton, che ha voluto, fra l’altro, testimoniare la “ricerca della verità fino all’ultimo” compiuta da suo padre sulla tragedia di quel ponte crollato il 14 agosto scorso – si è scusato di non avere potuto partecipare ai funerali del “signor Gilberto” per essere appena rientrato solo ora dalla Cina. Ed ha lamentato, diciamo pure denunciato, “l’assenza di un esponente del governo”, fra i tanti che lo compongono come ministri, vice ministri e sottosegretari, oltre naturalmente al presidente del Consiglio e ai suoi due vice, dalla cerimonia funebre, “come pure era accaduto – ha voluto ricordare impietosamente l’ex presidente del Consiglio – per Sergio Marchionne”. Che è stato un altro italiano ad onorare il suo Paese nel mondo e ad andarsene non nel rimpianto ma fra l’imbarazzo del governo, lasciatosi rappresentare alla cerimonia svoltasi nel Duomo di Torino due mesi circa dopo la morte dal prefetto del capoluogo piemontese: non un ministro, non un vice ministro, non un sottosegretario, per non parlare del presidente del Consiglio e dei suoi vice pur tanto rapidi nell’accorrere dappertutto.

GOVERNO GIALLOVERDE ASSENTE ANCHE PER MARCHIONNE

Anche Marchionne ha pagato la colpa del suo coraggio, umano e imprenditoriale, in un paese dove i meriti, o valori, sono concessi o negati con processi sommari, improvvisati nelle piazze, materiali o mediatiche che siano.

Si, lo so. I critici, gli sciacalli che gridano e i codardi che tacciono, staranno già deridendomi per essermi riconosciuto in un “perdente di successo” come viene sarcasticamente definito l’ex presidente del Consiglio, ed ex segretario del Pd, per le sconfitte politiche che ha oggettivamente accumulato fra il 2016 e questo 2018, dopo il bruciante decollo del 2014 a Palazzo Chigi con le elezioni europee. E staranno anche sfogliando la collezione del Fatto Quotidiano per rinfacciarmi, diciamo così, i finanziamenti concessi in passato dai Benetton anche al Pd, direttamente o indirettamente, dell’epoca renziana. Ma furono finanziamenti legittimi. E i fischi levatisi ai funerali delle vittime del crollo del ponte Morandi contro la delegazione del Pd, fra le pulsioni elettroniche del portavoce del presidente del Consiglio che li segnalava entusiasticamente ai giornali, prescindevano da quei finanziamenti del passato. A Genova quel giorno a rappresentare il Pd non c’era Renzi ma il suo successore: lo stesso col quale il partito di quel portavoce – il movimento delle 5 Stelle – aveva cercato di aprire nei mesi precedenti una trattativa per la formazione del governo, poi realizzato con la Lega, anch’essa peraltro finanziata a suo tempo, altrettanto legittimamente, dai Benetton. E non immune – aggiungo – dalle responsabilità politiche di chi nei governi passati aveva gestito le concessioni autostradali contestate poi agli imprenditori veneti.

Confermo pertanto il mio sollievo per la sortita del pur perdente Renzi condividendone il disprezzo per gli sciacalli e i codardi che infestano l’Italia.

 

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