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Chi vince nell’eterna partita tra Draghi e Salvini
Le entrate e le uscite di Draghi nella partita con Salvini. I Graffi di Francesco Damato
D’accordo sulle reti che Draghi è riuscito a segnare nella partita con Matteo Salvini raccontata dai giornali in questi giorni, ma bisogna per onestà ammettere anche ciò che Salvini è riuscito alla fine a portare a casa, pur rimettendoci un po’ di faccia per il solito metodo un po’ troppo garibaldino col quale scende in campo, atteggiandosi a goleador.
D’accordo, in particolare, sul fatto che il presidente del Consiglio se n’è sbattuto del dissenso annunciato dai leghisti ed ha varato la delega sul fisco di cui è scontata l’approvazione in Parlamento, comprensiva della revisione del catasto edilizio. I cui eventuali effetti fiscali si decideranno solo nel 2026. Che è una scadenza di fronte alla quale Salvini peraltro non potrebbe continuare a sollevare un muro di paura più alto di tanto perché, così facendo, si mostrerebbe ben incerto della vittoria del centrodestra che invece prenota baldanzosamente un giorno sì e l’altro pure in vista del rinnovo delle Camere. Se è davvero sicuro di vincere le elezioni con Gorgia Meloni e con Silvio Berlusconi, di che cosa si preoccupa o vuole preoccupare gli italiani in ordine a tasse, o simili, in arrivo con la prossima legislatura? Calma, quindi, capitano.
D’accordo, inoltre, sul successo mediatico, che in quanto tale è anche politico, dell’incontro avuto ieri a Palazzo Chigi da Draghi per la visita di commiato della cancelliera tedesca Angela Merkel. Che qualche giornale ha tradotto in un “passaggio delle consegne” della leadership europea.
Per fortuna Draghi è un uomo dal sistema nervoso molto saldo, e razionale abbastanza da condividere la prudenza, chiamiamola così, del commento di Mattia Feltri. Che sulla Stampa ha invitato i lettori a ricordarsi che “l’Italia resta l’Italia e la Germania resta la Germania”. E soprattutto a tenere conto che “per contare di più dobbiamo diventare credibili” e che “i soldi del recovery, siccome ne abbiamo ricevuto il grosso, richiedono responsabilità verso noi stessi e verso chi ce l’ha prestati”, o persino regalati. Del resto, Draghi è stato mandato proprio per questo dal presidente della Repubblica a Palazzo Chigi, sostituendo un Conte che non era in condizioni politiche, e forse neppure personali, con tutto il rispetto che giustamente reclama, di garantire la ricerca e tanto meno il raggiungimento di questa necessaria responsabilità collettiva, diciamo così. Che dipende “dal governo, dai partiti, dai sindacati, dalle imprese, dagli elettori, da ognuno di noi”, come ha scritto il mio amico Mattia.
Tuttavia Draghi -senza mettergli nel conto delle uscite, come hanno fatto altri giornali tipo Libero, le aperture dei teatri al 100 per cento della capienza, degli stadi al 75 per cento e delle discoteche al 50 per cento in tempi ancora di pandemia- ha concesso o pagato a Salvini quel “colloquio o incontro settimanale” giustamente vantato subito dal leader leghista. Questo tipo di rapporto, pur compensato da analoghe consultazioni con gli altri rappresentanti della maggioranza ufficiosamente annunciate dopo, fa di Salvini un interlocutore privilegiato del presidente del Consiglio. E al tempo stesso, come ha rilevato Marco Galluzzo sul Corriere della Sera, “serve a Salvini a ristabilire nel partito una gerarchia di potere” che sembrava compromessa dall’autonomia presasi di fatto o attribuita al ministro e capo delegazione Giancarlo Giorgetti.