Tempesta in un bicchier d'acqua sulle parole del ministro Giorgetti sulla revisione e l'aggiornamento delle…
Ciascun quotidiano vede la sua guerra
I Graffi di Damato
Siamo stati appena autorizzati a non metterci anche all’aperto la mascherina anti-Covid e rischiamo, secondo titoli e vignette di un po’ tutti i giornali, di doverne usare una ancora più ingombrante contro i gas di una guerra alle porte, in cui saremmo coinvolti con soldati e aerei, insieme con gli alleati della Nato, per non lasciare soli russi e ucraini a uccidersi fra loro.
Per fortuna c’è qualcuno che butta acqua sul fuoco, diciamo così: qualcuno che tiene i nervi a posto e ci avverte che, pur non essendoci accordo fra le parti direttamente o indirettamente interessate a queste “prove di guerra”, come le ha chiamate Repubblica, o a questa “pace appesa a un filo”, come ha preferito titolare La Stampa sperando ch’esso sia tanto forte da non spezzarsi al primo che ci si appenda, “per ora” c’è “solo tanta isteria”. Che in quanto tale è da fondo pagina, con un richiamo quasi di ripiego, giusto per non esagerare troppo ignorando del tutto la questione.
Questo giornale ottimista, con i nervi a prova di fuoco, è quello che pure si considera quasi l’unico d’opposizione, con qualche aiutino da destra alternato fra Libero, La Verità e persino il Giornale della famiglia Berlusconi. E’ naturalmente il solito Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio, la cui sofferenza cresce quanto più dura la partecipazione dei pur amati o preferiti grillini, o almeno la parte che si sente rappresentata da Giuseppe Conte, al governo di Mario Draghi. Dove i loro ministri siedono senza neppure le dovute misure igieniche di precauzione accanto a quelli della Lega di Matteo Salvini, di Forza Italia del Cavaliere e persino di Italia Viva di Matteo Renzi d’Arabia, altro che di Scandicci o Rignano sull’Arno.
E’ una ben altra guerra che avverte il giornale di Travaglio, stile più Lotta Continua che l’Unità di una volta, i primi ad essere sfogliati da noi cronisti politici di una cinquantina d’anni fa per capire l’aria che tirava dietro il solito ottimismo o le solite distrazioni della stampa più o meno governativa. Quella che Travaglio teme di più, o alla quale smania maggiormente di partecipare per darne di santa ragione agli avversari se proprio dovesse scoppiare contro le sue attese, è la campagna referendaria di primavera sui temi soprattutto della giustizia promossi da quei diavoli di leghisti e radicali: una campagna ancora più insidiosa, sia per il suo svolgimento sia per i suoi risultati, considerando la coincidenza col percorso parlamentare delle norme di modifica predisposte all’unanimità dal Consiglio dei Ministri ad un disegno di legge di riforma dell’ordinamento giudiziario che il governo in carica ha in qualche modo ereditato da quello precedente ma non condiviso, vista la mole degli emendamenti che ha approntato.
Le fiamme che Travaglio ha visto alzarsi davvero minacciose sono quelle appiccate alla Costituzione -in un fotomontaggio- dal presidente in persona della Consulta Giuliano Amato fra i soddisfatti, anzi soddisfattissimi Berlusconi, Salvini e Renzi. “Amato deve tacere”, ha intimato Travaglio dopo che il reprobo- imperdonabilmente sottosegretario di Bettino Craxi a Palazzo Chigi negli anni Ottanta e poi sopravvissuto alla fine politica e anche fisica del leader socialista, sino a sfiorare almeno due volte l’arrivo al Quirinale come presidente della Repubblica- ha anticipato il suo parere almeno personale favorevole all’ammissibilità dei referendum arrivati all’esame ultimo, inappellabile e imminente, quasi ad horas, della Corte Costituzionale. Ah, il destino cinico e baro di Travaglio e di quei tanti magistrati che temono di vedersi tagliare direttamente dagli elettori i privilegi castali ottenuti dai costituenti e ancor più guadagnatisi successivamente con pratiche e leggi compiacenti.