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Come Conte affronta i subbugli nella maggioranza di governo

Maggioranza

I Graffi di Damato su come il premier Conte si destreggia tra la rassegna stampa e l’appuntamento parlamentare decisivo di oggi con la sua maggioranza sulla grana del Mes

Per quanto destinatario ogni giorno di qualche proposta o offerta di aiuto — dalla “verifica” di vecchio stile del Pd al “cronoprogramma” di Luigi Di Maio da lui subito apprezzato, dal patto addirittura di Maurizio Landini, il capo della Cgil, perché “o si lavora tutti insieme o non si va da nessuna parte”, ai contatti privatissimi attribuiti dai soliti retroscenisti ai maggiordomi e altri collaboratori di Silvio Berlusconi, smaniosi di soccorrere Palazzo Chigi all’occorrenza con assenze parlamentari o voti segreti all’insegna della solita “responsabilità”— il presidente del Consiglio Giuseppe Conte continua a non passarsela molto bene sulle prime pagine dei giornali. Che sembrano un pò impegnati quotidianamente a rimproverargli o sottolineare debolezze, anche quando il professore fa loro la cortesia di qualche intervista a muscoli tirati per farsi apprezzare non dico come l’uomo forte atteso o desiderato dal 48 per cento degli italiani ma quasi, come quando ha detto al Corriere che non starà “appeso” a niente e a nessuno perché non è nel suo “carattere”.

CONTE NON SE LA PASSA BENE SULLE PRIME PAGINE DEI GIORNALI

A spulciare o sfogliare la rassegna stampa di oggi 11 dicembre, giornata peraltro decisiva per un appuntamento parlamentare con la sua maggioranza sulla grana del Mes, non si sa se lasciarsi impressionare più dal “vizio di un Paese che non sa decidere” messo sulle spalle del presidente del Consiglio da Repubblica, o dalla “fattura” rinfacciatagli dal Giornale della famiglia Berlusconi, che lo inguaierebbe nei rapporti col vecchio amico e maestro Guido Alpa ai fini della sua carriera universitaria, o dai “conti di “Giuseppi” che secondo Il Tempo fanno a pugni con la realtà”, o dalla colpa attribuitagli in blu dal Foglio, che pure spesso supera persino Il Fatto Quotidiano nell’elogiarlo, di essersi “consegnato col Pd alle parole morte della politica per attestare un’illusione di sistema”, o dalla fulminante e rossa bocciatura, sempre da parte del Foglio, della versione grillina della verifica, chiamata “cronoprogramma“ e liquidata brutalmente come “una boiata pazzesca”, alla maniera fantozziana del compianto Paolo Villaggio.

MA SE LA RIDE CON IL PORTAVOCE CASALINO

Eppure, contro questo scenario francamente preoccupante, che potrebbe ispirare persino un moto di simpatia e di solidarietà verso questo professore e avvocato — a sentirne i critici — incautamente prestatosi alla politica, e a  una vita obiettivamente infernale, costretto a fare mille parti in commedia per puntellare la maggioranza di turno, si staglia sui cosiddetti social, in pallidissima concorrenza con le piazze stipate di sardine, la foto di un Conte allegrissimo che non sa trattenersi dalle risate di fronte al suo portavoce ormai a tempo pieno Rocco Casalino, sorridente  pure lui alle prese con una carta: magari, una barzelletta del repertorio berlusconiano.

Il tempo pieno di Casalino deriva dal fatto che, applicato al presidente del Consiglio alla nascita del suo primo governo, quello gialloverde con i leghisti di Matteo Salvini, come l’uomo praticamente più importante e fidato della comunicazione del Movimento 5 Stelle, il quarantasettenne e baldanzoso ingegnere elettronico e gestionale, tutto sommato simpatico anche per la sua provenienza televisiva dall’esperienza del “Grande fratello”, di origini pugliesi come Conte, si è perso letteralmente il conto delle correnti, correntine, anime, animelle e quant’altro in cui si è frammentato il movimento grillino man mano che perdeva voti nelle elezioni di ogni tipo successive a quelle politiche del 4 marzo scorso.

Molto giustamente o opportunamente, dal suo punto di vista, Casalino ha deciso di interessarsi meno del movimento e più del governo e del presidente che riesce a tenere allegro nonostante tutti i guai che lo assediano. Almeno in questo Conte  ha finito per essere fortunato, dopo tutti i problemi creatigli dal portavoce quando si lasciò scappare, per esempio, tra mille proteste e richieste di destituzione, la minaccia di una mezza epurazione al Ministero dell’Economia. allora guidato da Giovanni Tria, per le resistenze alla guerra alla povertà. La cui presunta vittoria fu celebrata lo stesso sul balcone di Palazzo Chigi con Luigi Di Maio sventolando una sera il 2,4 per cento del deficit, prima che a Bruxelles lo riportassero al 2,04.C

 

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