Torna la naja? Il ministro della Difesa Guido Crosetto spinge per il ritorno della leva militare su base volontaria, ispirata alle scelte di Francia e Germania. L’ipotesi è la creazione di una riserva ausiliaria iniziale di circa 10 mila unità, da impiegare “on demand” per supporto logistico, protezione civile e attività non operative, mai in prima linea.
“Reintrodurre in Italia un nuovo servizio militare, come in Francia e in Germania? Se lo deciderà il Parlamento sì…”: da Parigi, a margine dell’incontro con la ministra francese Catherine Vautrin, il ministro della Difesa Guido Crosetto rilancia il tema — fino a oggi largamente abbandonato dopo la sospensione della leva militare obbligatoria — di una nuova organizzazione della riserva nazionale.
Muro immediato delle opposizioni, che sottolineano la necessità di concentrare le risorse su ben altri settori d’impiego. Il progetto, nelle intenzioni del ministro, non sarebbe però un ritorno alla naja: si parla di arruolamento volontario per creare una riserva più ampia e flessibile, mirata a scenari ibridi e tecnologici che richiedono personale specializzato, supporto logistico e capacità di intervento in caso di calamità.
LA “LEVA MILITARE SU BASE VOLONTARIA”
Crosetto ha spiegato che intende portare in Consiglio dei ministri e poi in Parlamento una bozza di disegno di legge “che garantisca la difesa del Paese nei prossimi anni” e che non si limiterà al conteggio degli effettivi, ma comprenderà organizzazione e regole.
L’idea chiave è una “leva su base volontaria” — non la vecchia naja obbligatoria, sospesa dalla legge Martino dal 1° gennaio 2005 — che formi una riserva ausiliaria dello Stato composta da professionisti, militari in congedo, volontari in ferma prefissata, tecnici, medici in pensione e persino esperti cyber. La prima ipotesi parla di almeno 10 mila unità, numero che “deciderà il Parlamento”, e di impieghi limitati a sostegno logistico, cooperazione e gestione delle emergenze, escludendo l’impiego in teatri operativi.
COSA CAMBIA RISPETTO ALLA NAJA
A Palazzo Baracchini si affrettano a precisare che non si tratta di “marmittoni” né di richiamare giovani inesperti a maneggiare armi complesse come i droni. La distinzione è netta: la proposta mira a selezionare persone con competenze utili (cyber, tecnologie, medici, tecnici) e a un impiego prevalentemente non operativo. Crosetto, già il 4 novembre 2023 aveva invocato una Difesa pronta “a tutti gli scenari”; oggi parla di una forza “on demand”, addestrata e periodicamente aggiornata, pronta a intervenire in casi gravissimi come guerre ibride, calamità o crisi internazionali.
NUMERI, RISORSE E TECNICA
Nel documento presentato informalmente il 17 novembre al Consiglio supremo di Difesa, Crosetto ha indicato la necessità di 10–15 mila nuove unità soprattutto nei settori tecnologici e dell’intelligenza artificiale; di queste, circa 5 mila sarebbero destinate al comparto cyber. Ha inoltre criticato la legge 244 che fissa il tetto del personale della Difesa a 170 mila unità (oggi circa 160 mila), sostenendo la necessità di aumentare significativamente gli effettivi complessivi.
LE REAZIONI POLITICHE
Come prevedibile, le opposizioni hanno subito reagito duramente all’ipotesi. Dal M5S Giuseppe Conte ha attaccato: “Qui si continua a parlare solo di piani di guerra, leva, riarmo… Piuttosto che aprire un canale diplomatico mandiamo i nostri giovani in guerra”.
Parole critiche anche da Angelo Bonelli (Avs) e Nicola Fratoianni (Sinistra): temono una scelta che trasformi i giovani in “soldati invece che in medici, insegnanti, educatori”.
Dal Pd, Stefano Graziano frena: possibile solo una riserva di supporto logistico e civile; il Pd preferisce un esercito di professionisti.
Per Forza Italia, invece, Maurizio Gasparri esclude un ritorno all’obbligo, definendolo “impossibile, improponibile e antistorico”, interpretando il progetto in chiave tedesca come liste di cittadini disponibili.
GLI USI PRATICI: DOVE E QUANDO VERREBBERO IMPIEGATI I VOLONTARI
Secondo il progetto, la riserva verrebbe richiamata solo in circostanze eccezionali: guerre, calamità, crisi internazionali. Il personale potrebbe operare in supporto alla Croce Rossa, nei centri logistici, nella gestione di infrastrutture critiche, nel soccorso in caso di emergenze sanitarie o ambientali. L’obiettivo dichiarato è evitare situazioni in cui, come durante la pandemia, infrastrutture critiche rimanessero scoperti per assenza di personale qualificato.

