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Come è stato smorzato il referendum M5S su Rousseau

I Graffi di Damato

In un comizio elettorale a Castelsardo, proseguito in qualche modo su la 7 in collegamento con lo studio televisivo di un Massimo Giletti particolarmente ben disposto nella sua Arena, che è o non è a seconda delle circostanze, il vice presidente leghista del Consiglio e ministro dell’Interno Matteo Salvini ha voluto mandare un messaggio rasserenante agli alleati di governo: almeno a quelli più inquieti per il referendum digitale che nel loro movimento a cinque stelle, adottate dal Giornale come simbolo delle “brigate Rousseau”, hanno dovuto indire, o subire, sul processo per l’affare Diciotti. Che, se autorizzato poi dal Senato con la prescritta maggioranza assoluta dei voti, vedrebbe Salvini imputato di sequestro aggravato di persona, pur significativamente tradotto con la nota informativa ai votanti on line in “ritardato sbarco” dei migranti. Essi in effetti nella scorsa estate erano stati soccorsi doverosamente in mare dal pattugliatore della Guardia Costiera italiana Diciotti, appunto, ma trattenuti a bordo per alcuni giorni nel porto di Catania mentre il governo trattava la loro distribuzione fra più paesi o enti disposti ad accoglierli. E questo fu il risultato dell’operazione, conforme alla linea adottata sin dall’origine con tanto di fiducia parlamentare dal governo gialloverde in tema di immigrazione: un risultato indubbio, anche se poi parzialmente vanificato di fatto in quella occasione dai vescovi italiani per le fughe verificatesi dai centri dove i loro ospiti erano stati sistemati, nei pressi di Roma.

LE RASSICURAZIONI DI SALVINI

Ebbene, a quanti fra i grillini, ai vertici e non, temono la crisi in caso di epilogo negativo della procedura parlamentare avviata per il processo al ministro dell’Interno, o a quanti l’auspicano dai banchi dell’opposizione, dove tuttavia i senatori dei partiti di Silvio Berlusconi e di Giorgia Meloni voteranno contro l’azione giudiziaria, Salvini ha detto chiaramente che lui a dimettersi e a far cadere il governo non ci pensa proprio.

La pratica politica a questo punto potrebbe anche considerarsi chiusa, sia pure con uno sputo promosso a “collante straordinario” in una vignetta di Altan sulla prima pagina di Repubblica. Lo sputo consisterebbe nel non detto, ma presunto da Salvini. Il quale, a conti fatti, si è convinto che -salvo incidenti- nella votazione conclusiva nell’aula di Palazzo Madama, dopo il passaggio imminente nella giunta delle cosiddette immunità, i grillini favorevoli al processo contro di lui, non tutti, saranno meno degli oppositori di centrodestra, ma suoi alleati a livello amministrativo e locale, contrari all’autorizzazione a procedere chiesta dal cosiddetto tribunale dei ministri di Catania. E in tal caso non sarebbe certamente il vice presidente grillino del Consiglio Luigi Di Maio, ancora capo del movimento delle 5 stelle, per quanto ammaccato dai risultati delle recenti elezioni regionali abruzzesi, o proprio per questo, a reclamare o promuovere la crisi di governo per il processo eventualmente negato al suo omologo leghista.

L’IMBROGLIO DEL VOTO

Così stando le cose, e così essendo destinate probabilmente a rimanere almeno sino a quando non si voterà, a fine maggio, per il rinnovo del Parlamento europeo, e non se ne conosceranno i risultati italiani, appare stucchevole anche la polemica, del resto sarcastica, di Beppe Grillo con i suoi. Ch’egli ha praticamente accusato di avere un po’ imbrogliato i militanti a cinque stelle con un gioco di sì e di no paragonabile ad un equivoco soccorso a Salvini. Essi infatti se gli votassero no lo salverebbero, e viceversa col sì. Il pubblico digitale è stato chiamato, in particolare, a pronunciarsi sul sì o sul no alla possibilità che Salvini abbia tutelato un interesse superiore ritardando, ripeto, e neppure impedendo lo sbarco dei 177 migranti dalla nave Diciotti. Il sì equivarrebbe in effetti al no al processo, e viceversa.

LA PROTESTA DI GRILLO

La protesta, ripeto, sarcastica di un comico sicuramente professionale com’è Beppe Grillo presuppone sul piano logico, consapevolmente o no, un assai modesto livello medio, culturale e politico, del suo “popolo”. In Italia col referendum abrogativo praticato da ben 45 anni, da quello cioè sul divorzio svoltosi nel 1974, gli elettori sanno bene che in certe circostanze si vota sì per produrre no, e viceversa. In particolare, nel 1974 si votò per il divorzio votando no all’abrogazione della legge che lo aveva istituito. Non credo proprio che i divorzisti avessero vinto, e gli antidivorzisti perso, per difetto di comprendonio, facendo peraltro saltare l’allora segretario della Dc Amintore Fanfani come il tappo da una bottiglia di champagne nella storica vignetta di Giorgio Forattini su Paese sera.

Se questa fosse la considerazione che Grillo ha del pubblico che ne ha seguito e approvato le gesta nei dieci anni in cui egli si è speso come fondatore e leader di un movimento così rapidamente portato al governo, ci sarebbe solo da sputargli francamente in faccia. O di aspettare che qualche vignettista lo faccia al nostro posto.

 

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